Un sasso e un caffè feat
“Dalla pace del mare lontano,
fino alle verdi e trasparenti onde,
dove il silenzio non ha più richiamo
e tutto si confonde.
Da lagune grigio e nere,
dal faticare senza riposo,
dalla sete alla fame allo spavento,
al più segreto tormento.
Avemmo padri avemmo madri,
fratelli amici e conoscenti,
e imparammo a dare un nome nuovo
ai nostri sentimenti.
E così un giorno a camminare
su questa terra sotto a un sole avaro
per un amore che sembrava dolce
e si é scoperto amaro.
Ma è solo un’eco nel vento,
nel vento che mi risponde,
venga la pace dal mare lontano,
venga il silenzio dalle onde.”
Quando i piedi affondano nelle conchiglie e nei sassolini, allora nell’aria si alza una nota irripetibile. E per quanto una passeggiata possa sembrare un concerto ritmato dai passi, solo chi è estremamente attento capisce la grandezza di quelle note mai uguali, le une alle altre.
Io ci vengo spesso qui, in riva a questo mare sporco, ma solo in inverno, e qualche volta in autunno e in primavera. D’estate mai. Non sono mai stato un tipo da spiaggia.
Parto da lontano e poi cammino, verso nord. Fino a quando non mi fermo alla verde cabina degli attrezzi. Oggi Sergio non c’è, fa troppo freddo e deve aver già oliato i cardini dello stabilimento contro il soffio famelico del mare. Sergio mi vuole bene, anche se sono un povero vecchio dallo sguardo fermo. Lo metto a disagio, qualche volta. Ma mi ascolta sempre, Sergio. Così quando gli ho chiesto di essermi amico come lo era suo padre, mi ha accolto subito nelle dinamiche sopite di una spiaggia lontana dal sole. Mi vuole bene, Sergio, per questo ha acconsentito a lasciarla verde, la cabina degli attrezzi, anno dopo anno. Certo, la vernice è nuova, ma il colore non cambia mai. Per questo, quando mi vede aggirarmi intorno al legno screpolato e sfiorarlo con la mano, non mi dice niente. Non cerca di rompere la magia del silenzio. Non disturba la mia pace.
Io in cambio raccolgo sassi neri lungo il mio cammino. Mai più di uno per volta. Li trattengo nelle mani coperte da calli che la vita mi ha lasciato in dono. Li stringo con tutta la forza che ho. Qualche volta li accosto alle labbra, per saggiarne la linea liscia e sapida. Quando sono abbastanza caldi li lascio scivolare nel taschino della camicia, sotto il cappotto, nell’illusione di un contatto con il cuore che non sia mai effettivo e vero, ma solo accennato, come lo svolazzo di una camicia al vento.
“E in mezzo al mare c’è un punto lontano,
così lontano dalle case e dal porto,
dove la voce delle cose più care
è soltanto un ricordo.
Ma da quel punto in poi
non si distingue più,
la linea d’ombra confonde
ricordi e persone nel vento.
Avemmo padri avemmo madri,
fratelli amici e conoscenti,
e imparammo a dare un nome nuovo
ai nostri sentimenti.
E così un giorno a camminare
su questa terra sotto a un sole avaro
per un amore che sembrava dolce
e si é scoperto amaro.
Ma è solo un’eco nel vento,
nel vento che mi risponde,
venga la pace dal mare lontano,
venga il silenzio dalle onde.”
Io, i sassi, li lascio lì per terra, sul passaggio lastricato di fronte alla cabina in legno. Credo proprio che sia Sergio stesso a toglierli. Magari con un colpo di scopa, la domenica mattina presto. Ma a me piace sperare che non sia così.
Quando mi chino per lasciare il sasso nero, mi duole la schiena. Una fitta all’altezza del polmone sinistro. Tossisco e mi passo una mano sul volto. Poi spingo sulle ginocchia e il dolore è ancora più forte, perché un conto è camminare suonando i sassi e le conchiglie, un altro è allontanarsi dal vero.
Vado via, lasciando la porta della cabina alle spalle. Non mi volto mai. Nemmeno quando arrivo a pochi passi dal mare. Allora lì, di fronte al nulla pieno, scrivo con la mente ricordi che non ho.
Oggi ti trovo seduta al tavolo di un bistrot. Hai un vestito leggero e un rossetto così rosso che il mondo potrebbe benissimo essere in bianco e nero. Le dita le hai magre e coperte di anelli. Hai i capelli bianchi e da dietro di te vengono voci di bambini e di altri adulti. Queste voci non le vorrei mai, anche perché non so distinguerle dalle mie, eppure le trovo sempre, come uno sfondo inevitabile, come l’unica carta che mi sia concesso avere. Per leggerti.
Ordini un caffè e in un attimo ti arriva.
Tieni le mani intorno alla tazzina per godere del calore, poi prendi la bustina dello zucchero e la apri. Rimani ferma, come colpita da un’intuizione. Resti con lo sguardo a cercare cose invisibili. Poi appoggi la bustina sul piattino. Il caffè, infine, lo prendi amaro. Muovi le labbra e passi la lingua a cercare l’ultimo riverbero di quel sapore che sembrava dolce, ma che hai scoperto amaro.
Allora io rido forte. Mi stringo nel cappotto e torno verso sud, verso casa mia. Per un attimo mi sembra persino sentirti sussurrare il mio nome.
“Ma è solo un’eco nel vento,
nel vento che mi risponde,
venga la pace dal mare lontano,
venga il silenzio dalle onde.”
© testo di Roberto Kunstler tratto dalla canzone “Dalla pace del mare lontano” / parole di R.Kunstler – musica di R.Kunstler e S.Cammariere