La rabbia giovane (Badlands), 1973 – di Terrence Malick
Ne La rabbia giovane di Terrence Malick si dispiegano, in assoluta libertà, i tratti caratteristici ed immanenti del suo cinema: la voce narrante, sospesa tra sogno e laconico distacco; la violenza dei comportamenti umani, a contrasto con l’incanto del mondo naturale; le deviazioni improvvise dall’azione, e la riflessione su cose, praterie, animali, alberi che diventano la storia stessa. Tutto il paesaggio del Midwest è protagonista del film, e viene utilizzato da Malick in campi lunghi, stranianti, che accentuano l’ isolamemento fantastico dei due protagonisti.
Se La rabbia giovane attraversa un discorso sociologico già affrontato da altri film sul tema dell’amore “fuorilegge” – da La donna del bandito di Nicholas Ray, a Bonnie e Clyde di Arthur Penn, o I Killers della luna di miele di Leonard Kastle – ciò che lo esclude da qualsiasi schema prevedibile è la sua specificità stilistica: tutto il film possiede un lirismo naturale che altre opere riescono a manifestare solo in forma di rare, intense illuminazioni. Malick invece estrae la poesia in ogni inquadratura, inserendo l’esperienza umana all’interno della bellezza e crudeltà della vita. Tutto il suo controllo registico è teso ad una precisione fenomenologica che il suo stesso sguardo è in grado di trascendere, in una visione di grande spiritualità.
L’atmosfera fiabesca del film, i silenzi alternati alla musica da sogno infantile di Orff, il contesto primitivo, la casa sugli alberi, la regressione illusoria dei protagonisti, sono tutte idee e immagini sorprendenti, completamente astratte rispetto ai loro contesti, e sfuggenti nei confronti di qualsiasi categorizzazione.
Non c’è alcun tentativo da parte di Malick di psicanalizzare i giovani Kit e Holly, né di ergerli a simbolo o di fare del film un apologo morale. Ci vengono semplicemente mostrati nella loro immensa solitudine, presi dalla medesima fantasia d’amore adolescenziale in cui dimenticare la propria vita vuota, incapaci di comprendere la gravità delle loro scelte.
Sognano forse, come nella scena più bella del film, di poter vivere per sempre separati dal mondo; nelle braccia dell’altro, ballando Nat King Cole sullo sfondo della notte, in un paesaggio sospeso dal tempo e dalla responsabilità del reale.
© Marcella Leonardi