Nella morsa (1949) di Max Ophüls
Una smarrita Barbara Bel Geddes si agita come una foglia al vento in Caught (Nella morsa) diMax Ophüls: ci troviamo nel territorio sensibile e vorticoso del melodramma, ma siamo distanti dallo stile violento, inebriato di emozione ed intenso fino alla ferita di Douglas Sirk.
Sirk e Ophüls, entrambi tedeschi emigrati a Hollywood, rappresentano difatti in forme complementari la perfezione del melodramma; l’irruenza romantica, sturm und drang di Sirk trova un controcanto nel pathos composto e raffinatissimo di Ophüls, regista dotato d’una naturale aristocrazia stilistica che lo portava ad elaborare opere complesse, di nitore compositivo classico, all’interno delle quali scandagliare profondità psicanalitiche.
Adorato da Kubrick (che ne riprodusse il senso armonico, al contempo elegante e sconvolto, inBarry Lyndon), Ophüls esplorava l’anima umana circondandola di silenziosi e articolati movimenti di macchina, dai quali si sprigionavano mille sfumature. La chiave dell’emozione per Ophüls era matematica, ed il suo strumento lo sguardo circolare che misurava il personaggio nello spazio, in unamessa in abisso di valore esistenziale.
In Caught, la Bel Geddes si ritrova, come in una favola deragliata, ad essere vittima del marito-milionario senza scrupoli Robert Ryan, per poi trovare l’amore nell’idealista James Mason. Ophülscreò il personaggio del magnate crudele e narcisista (un gelido, superbo Robert Ryan) ispirandosi al produttore Howard Hughes, che solo qualche anno prima aveva pregiudicato la sua carriera ad Hollywood. Caught è la sua vendetta, e anche la piena fioritura di quello stile colto, sottile, elaborato e capillare che fa di Ophüls il Proust del cinema.
© Marcella Leonardi