TREDICI/16
Di pelo e contropelo. Ciò che è naturale non è mai scontato. Se imbattersi in un finto giornalista – ai nostri occhi -, che in realtà non si presenti come tale ma come l’amico dell’amico, che di amico, poi, ha solo quell’eufemistico approccio da homeless (cioè io), tale da deturpare il paesaggio di una piazza Farnese tra scampanate e agende rosse sventolate in una tarda giornata senza vento, ma a pioggia battente. Quell’incauto essere pose le sue penne zuppe di fianco alla fontana monumentale, mentre un altro essere, mezzo al tavolo e mezzo al telefono, ripeteva le intercettazioni tra un presidente e il suo finto braccio destro.
[ L’ombrello infine si chiuse, e andai via. Senza lacrime e senza penne. ]
Da allora sono rimasto guardingo e in panne come in una sosta forzata. La tentazione di scrivere, di produrre organicamente feccia, giusto per l’atto del fare, di accontentarsi o accontentare i canoni mascherati di un editor fin troppo preso dai suoi: qui non ci siamo…, possiamo cambiare il concetto o usare altri termini?, non mi va.
Che si scriva di rabbia, di società geneticamente modificate (vi siete mai chiesti perchè nascono più quadrifogli che trifogli vicino agli studi ragiologici?), non la dà a bere a nessuno.
Questa è un’editoria sull’orlo del fallilmento, che non vuole rischiare. Solo una piccola percentuale di editori indipendenti rischia con le proprie penne, si espone a querele. Allora armarsi di nuove idee: pubblicare magari romanzi a puntate su testate giornalistiche. Ché coraggiosi.
Il rifiuto di un sentimento conservatore del libro, nella sua fattispecie, appunto, di libro, vedrà il tramonto, se non portato a considerarlo solo memoria tattile visiva.
Amazon avanza e con essa la pigrizia del lettore.
© Raffaele Rutigliano, 2014