OTTO/16
“Invero, Lei, non è né il primo né l’ultimo arrivato con così tanto ego inesplorato. Lo studio lo dia ai cartomanti, e palesi mezzucoli da loggione senza plausi. Lei non è il più grande, Lei è l’ennesima vittima di un sistema di cui ignora ancor ora l’appartenenza.
Continui a studiare se stesso, lasci perdere i nomicognomi, non v’è concesso alcun uso se non l’epitaffio cui rendere onore… e senza graffiar lapide.
Si ricordi, io sono più di Lei, non per grandezza, ma per mediocrità.”
Ho voluto riportare un passaggio tratto da uno degli ultimi scritti. Nell’ultima riga è racchiuso il senso di tutto, dell’essere riconoscibili a noi stessi quando siamo dinanzi allo specchio.
Il nome nulla conta, non hanno alcuna importanza le sovrastrutture che erigiamo – da abbattere a tutti i costi. La cosa significante è lì davanti: la nostra immagine riflessa. Noi, come ci vediamo.
Questo è un atto di responsabilità: diventare anonimi, senza caratteri distintivi. Non siamo omologati o omologabili. Nascere, quindi, come uomini della terra, come istinto primordiale, e rimanere tali. È l’impresa più ardua che possa conoscere.
Oggigiorno si scappa dai problemi, non sapendo come affrontarli. Si scappa dal lavoro duro, perché non si conosce. Le luci di questa città si stanno pian piano spegnendo, anche la centrale elettrica cesserà la sua funzione di alimentare il “progresso”, tramutandosi in regresso.
Il reale progresso è un circolo di sviluppo ciclico che rende le risorse disponibili ai bisogni.
Mi basterebbe un angolo di terra, una penna e un foglio. Il tempo di lettura parrebbe infinito e questa volta senza specchi, con la consapevolezza d’essere l’uomo più bello del mondo.
Mi permetto di citare – in tale contesto – le già sovracitate parole del principe Miškin ne l’Idiota di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.
© Raffaele Rutigliano, 2014