Romina
Perché le chiamino “vasche” lo ignoro. Nel nuoto la vasca ha una sua dignità, fresca di linea retta. L’andamento mio e di Romina, per il corso del paesello, parrebbe al massimo una gara di sci.
Così io, alle ventidue e trenta di questo giovedì estivo, con le fierette a imperversare, ansioso di fronda di roverella e di recherche di punto g, rimango vittima di bancarella, con lo stress illogico di un super g. E dire che il parco è proprio qui vicino.
Tempo perduto, con quella, mi dice sempre P., e mi fa incazzare, ché dovrebbe incoraggiarmi, invece sempre e solo brutte notizie mi dà. Eppure a sentirlo, sostiene sempre il contrario, Tu lo sai, dove sto io: dalla parte di A. E se potessi le metterei un cartello al collo con scritto Non toccare, un amore di A.
Sì, perché A. sono io e noi siamo ragazzi d’altri tempi. Abbiamo tutti diciassette anni, siamo troppo romantici e giusto un pelo zozzoni.
Ti andrebbe di uscire con me, domani sera? ho chiesto ieri a Romina, e lei, seduta sullo schienale di una panchina con le altre, mi ha guardato dall’alto con cipiglio perplesso, indagando le amiche sugli impegni del domani. A risposta indecisa mi ha risposto piccata Sì, esco con te, ché c’è la fiera. Così mi son fermato, all’ombra delle fanciulle in forse, fin quando, senza salutarmi, se ne sono andate. Ero contento comunque.
Stasera il paese mi arride e mi sfotte. Quante volte l’ho odiato e sempre di notte. Sodoma, Gomorra e il mio paesello: Dio, non c’è due senza tre, e tu hai saltato un turno. Era un’idea fissa, adesso non ci penso. Lei è mora e cotta dal sole, prigioniera del bello e fuggitiva da me, che non riesco a starle dietro. Prima qua e poi là, nella fiera è una fiera, vuole il sandaletto perfetto, con sguardo ferino ferisce a stiletto. Poi finalmente la piazza, c’è il bar da Guermante.
Ti offro un caffè.
No, il caffè non lo voglio.
E un gelato?
No, nemmeno il gelato.
Guarda, c’è il banchetto dei croccanti!
Te li mangi tu, che schifo!
Ferito e sconfitto, subisco l’ultimo affondo. Sai cosa vorrei? Una fila di pane. Me lo dice ridendo, di fronte alla grata abbassata del fornaio. È sfida sincera, richiesta d’atto d’amore.
E io sono un viandante sul mare di nebbia, un eroe dal volto pulito, Friedrich mi fa una pippa, a me. Torno subito, le dico, e scappo a casa. Spingo il bravetto oltre i limiti, come un destriero indomito per un grand tour di campagna. Mia madre la tiene sempre, una fila in più in dispensa.
Con questa la conquisto, altro che tempo perduto, penso.
Ma quando torno, con fiatone e filone, la trovo mano nella mano di T., un maggiorenne bestione.
Mi seggo in panchina, senza più la forza di lottare.
Arriva pure P., a consolarmi: Tempo perduto, te l’ho detto.
Sconfitto gli offro della fila il culetto. E dopo due ore, sotto il neon a scatti del pronto soccorso, penso quanto sia strana l’intolleranza al glutine, che si manifesta così.
A pene di pane.
© Alessandro Morbidelli