“Cara prof le scrivo così mi distraggo un po’.”
Sto osservando il mare da una vecchia sedia di casa mia, mentre ascolto “Perfect Day” di Lou Reed: non so che fare, oltre che ascoltare musica, leggere, studiare, dormire e mangiare.
E poi…
“Fingo d’aver capito che vivere è incontrarsi
Aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare
Bere, leggere, amare, grattarsi”…
… tutto questo mentre ascolto Guccini.
Fino a quando non c’è qualcosa che attira la mia attenzione. Sta sorvolando le onde del mare con aria di sfida. È un cormorano.
Vola sopra l’acqua come un soldato mandato in guerra e come tutti i soldati in guerra non sembra contento.
Lo vedo passare attraverso le fronde di un albero. Quest’albero ha un tronco molto grande da cui si diramano tre grandi ceppi. Da ognuno di questi si ribellano in modo del tutto anomalo altri quattro rami, ma non solo in modo strano e ribelle. Da ogni rivoluzionario, quasi simmetrico con l’altro, partono centinaia di piccoli rametti anarchici con piccole foglie intorno e sulla punta.
Le foglie dei rametti anarchici sono sbattute da una parte all’altra da questo vento che continua a far muovere la serranda, facendola scontrare con la finestra. Questo rumore mi dà sui nervi.
Io voglio essere come i rami di quell’albero, voglio uscire e incontrare gente e far casino, voglio essere simile agli altri eppure unico, ma tutto ciò non si può fare.
Jack London in Zanna bianca scrive:
“Il lupetto grigio non ci capiva molto, e poiché mamma lupa non gli permetteva mai di avvicinarsi al muro di luce, si era avvicinato agli altri e vi aveva battuto il nasetto tenero. Così che dopo tre, quattro tentativi, abbandonò quell’esperienza. Senza più pensarci sopra concluse che il penetrare il muro di luce e sparirvi era una proprietà del papà come il latte e la carne semi elaborata erano delle qualità della mamma. Il lupetto grigio non ragionava come gli uomini, ma giungeva ugualmente a conclusioni acute e limpide. Non si tormentava mai con dei perché, accettava il risultato dell’esperienza: suo padre poteva penetrare il muro, lui no. E questo gli bastava.”
Ecco io quel muro non lo posso penetrare, ma siccome sono e penso come un uomo, questo non mi basta, ma lo devo accettare.
©Leo Giardini, 2020
Leo Giardini è un ragazzo di tredici anni che vive a Cesano di Senigallia. Come tanti altri ha dovuto sperimentare la distanza imposta dal confinamento. Tra le giornate passate con i suoi cari e quelle a osservare il mare, che per fortuna gli è vicino, ha voluto dedicare questo pezzo alla sua professoressa. Un viaggio tra immagini e musica, dalla parte di chi osserva la vita con occhi attenti e pensieri freschi.