Trenta per te

Marylou è appena arrivata in posizione alla pertica tra gli sguardi distratti dei camerieri che la tirano lunga passandosi uno spinello davanti alla porta della cucina, i grembiuli bianchi corti sui pantaloni neri. La nuvola di fumo non si taglia ancora con il coltello e giù in fondo c’è il solito gruppo di marinai con sul tavolo più birre che spazio. Russi, si direbbe, dal modo di vestire e dai colori. Speriamo si siano adattati alla birra e non comincino con la vodka, se no rischia di finir male. L’ultima volta Muhd ha avuto bisogno di tutte le sue amicizie per mettere la cosa a tacere. Dopo tutto, un morto e tre feriti di coltello, con uno che non ci vedrà più da un occhio, non sono uno scherzo neanche per il Polipo Allegro. Che razza di nome. Quando cercava lavoro e gliel’hanno nominato la prima volta, credeva fosse la battuta idiota di uno che voleva fare lo spiritoso con la ragazza nuova, e l’ha mandato a stendere, come dicono qui. Invece era tutto vero, anche l’insegna giallastra con i tentacoli al neon che si muovono di qua e di là. Che poi chi l’ha mai visto un polipo giallo. Va be’, muoviamoci.
Dal fondo lucido del bancone la voce chioccia di Muhd urla insulti ai camerieri che hanno buttato la canna e scivolano rapidi sulla segatura del pavimento, spargendosi intorno come una muta di pinguini.
Un italiano grande e grosso insieme a un nero con la testa rasata ordina due medie rosse. Lei prende il boccale e lo inclina sotto il getto schiumoso, una volta, due. Passa la spatola sul bordo e inalbera il sorriso d’ordinanza mentre le appoggia sul ripiano lucido.
L’italiano le guarda fisso le tette, accidenti a Muhd e alle sue magliette da porca. Il suo compagno dice qualcosa e lui risponde parlando di lato, a sillabe strette, senza distogliere lo sguardo. Afferrando il boccale sfaccettato, fa in modo di toccarle la mano con le dita tozze sporche di grasso. Lei sfila le dita e porge il biglietto con il conto, ma lui è molto rapido. Le artiglia il polso con una stretta dolorosa e dice

– Un po’ caro, magari il prezzo non comprende solo la birra, eh.

Il nero si guarda intorno con aria preoccupata. La ragazza dice piantala e getta uno sguardo al fondo del bancone. Muhd non si è accorto di niente, sta ridendo e dando pacche sulle spalle a due tipi, deve avere appena concluso un affare. La stretta al polso adesso fa male, le dita le formicolano per la mancanza di circolazione, spuntano gonfie e violacee da quelle pesanti dell’uomo. Dice lasciami e tira cercando di liberarsi, ma la mano dell’uomo è dura e cattiva sulla sua. Il braccio sottile forzato verso il basso spicca netto sul legno scuro, la torsione la costringe a piegarsi sul fianco per accompagnare la stretta, le strappa un gemito.
Adesso basta. La rabbia le gonfia il petto. Per una sera uno è anche troppo. Allunga l’altra mano sul bancone e stringe le dita sul manico del boccale.  Quando sta per sollevarlo sente il polso libero. Gli occhi cisposi dell’uomo la guardano stupiti senza metterla a fuoco. Prima di rovinare all’indietro trascinandosi addosso lo sgabello cromato piega il collo di lato verso l’incavo della spalla dove il manganello ha lasciato una linea rosso scuro.

Black la guarda senza espressione, i bicipiti imponenti larghi sui fianchi, alto e massiccio nella t-shirt nera.
Il nero ha visto la fine dell’amico e sguscia rapido verso l’uscita, seguito nella calca dagli occhi duri di Black. Quando arriva anche Alfredo, i due buttafuori prendono l’uomo di peso e lo trascinano verso la porta sul retro. Giurerebbe che non è ancora finita, per il furbacchione, l’ultima rata arriverà nel vicolo, tra i bidoni e la puzza di piscio. È la legge di Muhd. Ne pesti uno e gli altri imparano la lezione. Certe cose si vengono a sapere in un momento, altro che internet.
In tutto sarà durata due minuti. Gli altri avventori si sono scostati appena, i boccali in mano, attenti a non rovesciare una goccia, e stanno già distogliendo lo sguardo dal cameriere subito accorso con straccio e scopa. Il vociare ricomincia a spargersi tra le volute di fumo e i riflessi cangianti sullo specchio dietro al bancone. L’unica traccia che resta, dopo la passata umida della scopa, sono le due strisce scure nella segatura verso la porta del vicolo.
Sunee asciuga con lo straccio la pozzanghera schiumosa che si allarga sul piano lucido. Si massaggia con una smorfia il polso con le dita sottili, poi le sposta a esplorare con cautela il gonfiore sotto i capelli lisci sulla nuca. Almeno questo non fa più male, se non lo tocca. La guancia invece brucia ancora, bastardo. Va be’, chiodo scaccia chiodo, dice quel proverbio italiano. Ridacchia tra sé e si versa un bicchierino di vodka, lo fissa per un momento, lucido trasparente tra le dita, e lo butta giù con un colpo secco del gomito.
Speriamo che per oggi sia finita. L’alcool si tramuta subito in sudore. Lo sente arrivare, sotto le ascelle e sulla fronte, sul collo. Con le dita a pettine scosta i capelli neri di lato, un cenno d’intesa all’uomo che le ha chiesto un whisky, raddrizza le spalle. Coraggio, la notte è appena cominciata.

© Euro Carello, 2020

Il romanzo è una sorta di rap distopico, in cui una società opulenta e malata, per esorcizzare le sue ben alimentate paure sull’immigrazione, ha istituzionalizzato la “Caccia”, in cui il clandestino è insieme preda e cacciatore. Con tanto di tessera magnetica su cui registrare le catture, che alla quota di trenta, danno diritto alla “carta gialla”, il sospirato permesso di soggiorno. “Trenta per te”, come recitano le insegne al neon per la città. Una guerra tra ultimi e penultimi in cui non può che vincere il peggiore. Sperando che resti una distopia.


Euro Carello

 

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