Scheherazade [5] di Daniela Scudieri

© ph. D.Scudieri

LA RAGAZZA DI CLAUDIO

Appena sbatté la portiera della Clio parcheggiata nello spiazzo davanti al bar lungo la statale sentì la canna di una pistola puntata alla schiena. «Mani in alto!»
Un bambino dal sorriso sdentato e cinturone da sceriffo ai fianchi e una bimba con un vecchio casco da motorino calato sul naso – un tuffo al cuore, guardandoli. Alzò le mani e sorrise.
«Ti abbiamo catturata». Lasciò che la scortassero dentro, nella ressa di operai della fabbrica di materiale edile e camionisti di passaggio in pausa pranzo, e sedette a un tavolino defilato sbirciando al di sopra del giornale spiegato davanti alla faccia. Tutto rimasto tale e quale.
Stessi arredi, stessi sguardi sospettosi a ogni viso nuovo, stesso orologio caffè Tober a scandire l’ora dei panini, del gelato per le chiassose comitive di bambini del parco giochi gonfiabili, poi dell’aperitivo con patatine fino all’ora dell’amaro, la fine della giornata con le partite di calcio sul maxischermo. Nel mezzogiorno di fuoco estivo tornò ad avere diciassette anni, subito prima che i suoi cedessero l’albergo in paese. Unica novità, la giovane donna priva di sorriso che trafficava al bancone: la moglie del fratello, pensò.
Attratti dalla sconosciuta i bambini le stavano appiccicati, cincischiavano con la sua borsa, la bustina di zucchero, la tazzina vuota.
«Io so che ti chiami Claudio» disse, sapendo che dal giovane barbuto nella fotografia appesa dietro il bancone il bambino aveva preso, oltre agli occhi, anche il nome. Lui restò interdetto.
«E lei come si chiama?», chiese in tono di sfida indicando la sorellina.
Chiuse gli occhi fingendo di cercare ispirazione.
«Sophie!», chiamò la donna al bancone sventagliando sul piano d’acciaio una raffica di piattini.
«Maman». La bambina le svolazzò incontro e dal retrobottega dov’era occupata a manovrare l’affettatrice schiaffando il prosciutto sui panini tagliati a metà sbucò l’indaffarata titolare, ora anziana ma sempre carica come una mitragliatrice. Vide i suoi occhi acuti inquadrare nuora e nipote, contare gli avventori e scivolarle sopra senza riconoscerla, subito attratti dalla porta socchiusa sul magazzino – Cesare, era lui l’uomo di mezz’età dal cocuzzolo calvo, il grembiule allacciato sulla pancia sporgente, che scaricava dal furgone casse di bibite; in filigrana intravvide con un nuovo tuffo al cuore l’impronta familiare. Con una mano sulla maniglia la vecchia gli gridò qualcosa in dialetto e i bambini corsero dal padre, saltando sul furgone.
Ora sì che poteva tirare un bel respiro e fissare il giovane nella fotografia, stupita di riuscire a sostenerne lo sguardo. Sembrava appartenere a un tempo scolorito e irreale, una cartolina da un altro mondo.
«Ciao! Ritorna!» Nello specchietto guardò i due fratellini sventolare la mano, sempre più piccoli mentre si allontanava da una delle sue vite mancate.

© Daniela Scudieri, 2018

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