Prossima fermata, Kobane, uscita lato destro [4] di Roberto Macchi

Bandiera curda
Bandiera curda

Prossima fermata, Kobane, uscita lato destro
Next stop, Kobani, right side exit

Prima delle conclusioni vorrei raccontarvi un piccolo aneddoto che riguarda i bimbi di uno dei campi profughi che abbiamo visitato. I bambini sono la più grande risorsa dell’umanità. Questi bambini hanno perso la loro ingenuità, ma non la loro fantasia ed il loro sorriso. La disillusione nei confronti della vita non li blocca, ti vengono vicino e vogliono giocare con te, vogliono ridere, vogliono vivere. Allora immaginatevi l’impensabile. Immaginate un bambino, un po’ più cresciuto di loro, che ricorda di essere stato un tempo istruttore di nuoto e che lì, al centro del nulla, insegna a un gruppo di bimbi a nuotare. Li sdraia in terra per far loro apprendere i movimenti del crawl o del dorso, cercando di raccontare loro a parole cosa è il mare. Li prende in braccio, li gira e li rigira, facendo loro immaginare cosa possa significare muoversi sulle tre dimensioni, vedere i pesci e nuotare insieme a loro. Questi bambini sono la speranza, i figli di una guerra che i loro padri hanno combattuto per ridare loro una casa. Da oggi Kobane torna libera, un mucchio di macerie fumanti, saranno il luogo dove partirà la ricostruzione; avranno di nuovo un luogo dove poter vivere e crescere liberi e, magari, andare in futuro al mare, ricordandosi di aver imparato cosa è il mare laddove il mare non c’era.

Stiamo per ripartire, la città di Kobane è stata finalmente liberata, la bandiera curda viene issata sulla collina di Mistenur, laddove prima, sventolava la bandiera nera dell’IS. I combattenti dell’YPG e dell’YPJ hanno vinto la loro scommessa con il destino. La gioia di questi uomini e delle loro incredibili donne non è esprimibile a parole, sarei solo ridicolo se cercassi di provarci. Mi sono venuti in mente i racconti dei miei nonni circa la fine della seconda guerra mondiale o i passaggi di alcuni film, ma essere lì, viverlo, sentire quei canti, quelle urla, ti proietta in un’altra dimensione. Ero lì e ho avuto il privilegio di vivere quei momenti con loro.

Prima di iniziare quest’avventura avevo lasciato disposizioni affinché in caso di problemi nessuno prendesse iniziative per trarmi in salvo. Ero voluto partire io, nessuno mi aveva obbligato e non mi sembrava giusto ricorrere al “fratello più grande” in caso di problemi. Mi pareva troppo facile, poi diciamocelo francamente, il mondo sarebbe potuto andare serenamente avanti anche senza di me, ma in fondo il vero motivo per cui non avrei accettato nessuna trattativa risiede nel fatto che, mai e poi mai, avrei dato la soddisfazione a Gasparri di dire che erano stati pagati milioni di euro per farmi giocare a incularella con i cattivoni. Fortunatamente, alla fine, quel mio scritto rimarrà solo una pagina sporca di parole inutili, tutto è andato per il meglio, anche se, ancora non mi rendo conto fino in fondo di ciò che è successo, e ho perso la cognizione di cosa veramente significhi “il meglio”.

Bene, il furgone che ci porterà verso l’aeroporto più vicino è pronto. Entro per ultimo. Rimango in disparte per qualche minuto, mi concedo di scattare le ultime fotografie. Le scatto a un orizzonte sul quale ancora si ergono colonne di fumo. A Kobane non ci si arriva con la metropolitana, ma è lì a due passi da noi, alle porte dell’Europa, la sua liberazione, è anche la nostra libertà.

Chiudo lo sportello lasciandomi alle spalle non so neanche io cosa e andando verso quella che un tempo avrei chiamato casa e che ora non so più bene cosa sia. Sono scombussolato. Prima o tardi capirò qualcosa di ciò che ho vissuto. La guerra ti cambia. La guerra non la si cerca, è lei che ti trova, che tu sia un soldato o un civile, la guerra non la combatti, è lei che combatte te e, purtroppo, che tu viva o che tu muoia sarà sempre lei a vincere. La guerra non la respiri, ti entra lentamente sotto pelle; la guerra non la sopporti, ti travolge; la guerra non la contrasti, cerchi solo di sopravvivere. La guerra è una follia, nella follia non c’è onore, non c’è coraggio, non c’è orgoglio, c’è solo paura. La paura ti spinge a fare tutto, ti anestetizza dal dolore e ti regala forza, è come una droga che ti rende invincibile prima e caduco immediatamente dopo. La paura è il tuo messaggero, è lei che chiama a gran voce la speranza che tutto finisca il prima possibile. Chiunque tu sia e a qualsiasi titolo tu sia in una zona di guerra devi solo sapere che la guerra non la vivi, puoi forse evitarla, ma in ogni caso, la subisci. Sempre.

© Roberto Macchi (rmphoto.it), 2015

Chi è Roberto Macchi?

Conosce la fotografia a 5 anni, lei, la fotografia, ne rimane sconvolta e scappa, ma lui corre più veloce e la sposa. Ben presto si accorge che fare il fotografo non significa cuccare modelle, ma vivere di stenti. Vince alcuni premi importanti, essendo l’unico in concorso; negli altri casi, sbaraglia la concorrenza grazie a corruzione e vili ricatti. Diventa fotoreporter per caso, e nessuno se ne accorge, tranne le modelle che finalmente si sono liberate di lui. Andato in Siria, fa strage di cuori tra gli jihadisti, ma riesce a non perdere la testa.

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