Palermo è un pesce morto di Alessandro Angeli

Cap. 6

 

Se ripenso a mio padre e mia madre li sento ancora che strillano. «Smettila di assillarmi… mi stai sempre appresso come una piattola!» Urlava lei e lui invece di allontanarsi le si avvicinava ancora di più: «Perché non te ne vai… prenditi una stanza per conto tuo e vattene.» Mio padre non rispondeva e lei allora cominciava a piangere piano: «Io non ce la faccio più… non ce la faccio a starvi dietro, mi avete snervato». Sussurrava, poi per non farsi vedere lasciava tutto dov’era e andava a chiudersi in camera da letto. In quei momenti solitamente io tornavo da scuola e dal silenzio gelato che c’era, capivo subito cos’era successo. Il tempo di posare lo zaino e mia madre riappariva in cucina asciugandosi gli occhi: «Forza anche te, è pronto, siediti e vieni a manciare». Ci sedevamo tutti in silenzio e mia madre portava i piatti in tavola. Quando ero stufo dei loro litigi, provavo a ribellarmi: «Non mi va di mangiare, non tengo fame», allora mio padre guardava mia madre con uno sguardo pungente, come a dire lo vedi cos’hai combinato e lei continuava a masticare con la testa bassa, senza guardarlo. Smettevo di interessarmi a loro e mi buttavo sul letto, chiudevo la porta e accendevo una sigaretta. Rimanevo a guardare fuori dalla finestra. Nelle giornate soleggiate guardavo le famiglie con i loro bambini, mentre da tutte le terrazze del mondo le donne stendevano i panni. Alla domenica venivano a pranzo i parenti. Ognuno andava in camera da letto a lasciare il cappotto, fino a che non si creava una matassa informe di panni dai colori sbagliati sulla coperta. Io me ne stavo da solo a pensare a Maria invece e uscivo solo quando era indispensabile, dopo che mio padre e mia madre mi avevano già ricattato. Maria l’avevo conosciuta a una festa e qualche giorno dopo ero andato al supermercato dove lavorava a comprare la pizza. Mi misi in fila nella sua cassa e quando arrivò il mio turno lei mi sorrise. Poi appena finì di battere: «La musica ti piace?» Mi chiese, io le risposi sì e lei allora mi regalò un cd, di quelli che davano coi punti della spesa, sulla copertina c’erano due ciliegie con la scritta “Ibiza”.

Tre giorni dopo andammo al mare insieme. Maria si lamentava in continuazione del vento che le scompigliava i capelli, perché diceva che era stata tutta la mattina a fonarseli. La spiaggia era praticamente deserta a parte qualche pescatore e noi. L’acqua era piena di alghe. Poi Maria cominciò a parlarmi: «Ti ricordi, quando eravamo picciriddi ci vedevamo spesso, avevi un motorino bianco e portavi sempre una sciarpa rossa al collo».
«Il motorino non era mio, di Tano era, io mai ce l’ho avuto il motorino
». Le dissi guardando la sabbia sotto di me.
«La sciarpa rossa sì però
».
«Sì, quella sì». Dissi ancora e lei sorrise.
Continuammo a camminare sul bagnasciuga, ogni tanto Maria raccoglieva una conchiglia da terra. Dopo un po’ ci fermammo a riposare su un tronco. Il cielo davanti a noi era acceso come una torcia. Rimanemmo un po’ in silenzio poi Maria mi indicò un uccello che volava oltre le onde.
«Andiamo?» Le chiesi, perché mi stufavo. «Aspetta, aspettiamo ancora un po’». Si avvicinò toccandomi i capelli e mi baciò. Fece proprio così. Rimasi a sedere sul tronco senza sapere che fare. Come muovermi, di che parlare. Era la prima volta che una ragazza mi baciava e anche se ero ancora lì non vedevo l’ora di andare a dirlo a Tano e a Salvo e pure a mio fratello Valerio. Un attimo dopo ci prendemmo le mani.
«Vieni con me!» disse. Accelerò il passo tenendomi per mano, si fermò un attimo a prendere fiato e poi ripartì. La spiaggia stava per diventare buia, allora ci mettemmo a correre e mi sembrava che la sabbia lo facesse apposta a farmi inciampare. Arrivati in un vecchio capanno di lamiera e ferro arrugginito entrammo dentro. Maria cominciò a spogliarsi e anch’io mi spogliai, poi con gli occhi chiusi aspettai che venisse verso di me.

(continua…)

©Alessandro Angeli, 2019

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