Palermo è un pesce morto [3] di Alessandro Angeli

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Da piccolo, alla fine di ogni discorso sentivo ripetere la solita solfa: «Eh, perché da noi sta la mafia!» Io mi immaginavo che questa mafia fosse una cosa grande e inestinguibile come il mare e in effetti non mi sbagliavo, perché ormai è chiaro che la mafia esisterà sempre, proprio come il mare. Una delle cose più tragiche di questo nostro paese è dover spiegare la mafia ai bambini. Discorsi tipo: «Sta’ tranquillo amore mio è vero che ci sta la mafia, ma noi possiamo vivere lo stesso, basta che ci facciamo gli affari nostri». Questo è più o meno ciò che hanno sempre pensato i miei e non vale solo per i mafiosi. Accettare che in Italia i bambini e la mafia convivano è ancora peggio che essere mafiosi. Infatti, quando mia cugina Mimì, che sta al nord, quel giorno disse la frase che ammutolì tutti: «Io al Sud non voglio starci perché c’è la mafia». Io le detti ragione su tutta la linea. E appena i miei con tono pacifico cercarono di convincerla a cambiar idea, dicendole che al Sud ci stavano pure tante cose belle, mi venne una rabbia tale che gli avrei tirato un cazzotto in testa. Perché il discorso di mia cugina era solo in apparenza infantile, in realtà era di un’integrità morale che ce la sogniamo quaggiù. «O io o loro» diceva mia cugina, che poi credo sia il solo modo di togliersi dai coglioni i mafiosi. Esistono altri discorsi possibili? Perché la mafia se rimane soltanto una parola può essere pure trascurabile, il punto è che molto spesso questi passano dalle parole ai fatti. Come quando nell’agrigentino hanno bruciato chilometri e chilometri di pineta per costruire le loro case e i loro residence di merda. Provate ad andare alla pizzeria da Pipino a dirglielo e vedete se molla le sue teglie. Andate da lui e ditegli: «Pipì qua sta la mafia ammuninne!» Vedete come se ne va, manco vi risponde. Per questo mia cugina ha ragione. O me o loro. Tolto il fatto che la mafia sta pure al nord, ma lei a dodici anni che può saperne, è il principio che conta. Anche i Carabinieri e le Onlus che si fanno una bocca tanta e parlano di combattere la mafia sono da meno dei bambini, perché non dicono: «O noi o loro», e continuano a camminare sulle stesse strade che solcano i mafiusi.

Nel periodo che consegnavo gli elenchi telefonici a Palermo finivo spesso nei quartieri scomparsi. L’asfalto sembrava un fiume, i portoni e le finestre bocche e occhi. Il tempo e lo spazio erano chiusi da un lucchetto e nessuno cercava più la chiave. Lì abitavano uomini e donne che con uno starnuto cadevano giù. Si spostavano con movimenti di secoli trincerati nel mutismo e nella rassegnazione. Gli unici che continuavano a pensare che quella fosse la vita erano morti da tempo. Chi aveva provato a ribellarsi, a trovare un’alternativa a questo azzeramento, era finito male. Ribellarsi non serviva a niente. L’annullamento si sedimentava in modo progressivo: potevi resistere giorni, mesi, anni, ma prima o poi la grande falla si apriva e arrivavano gli eserciti dei Jerry Scotti. L’inverno stingeva e stingeva le strade fino a spingerti nelle retrovie, sempre più a fondo. Questa era la vita nei quartieri scomparsi.

©Alessandro Angeli, 2018

 

 

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