Ogni sabato pomeriggio

Come ogni sabato pomeriggio, il ragazzo delle rose entra nel locale e gira fra i tavoli con discrezione. Non parla, sorride appena, come se avesse paura di infastidire il mondo.
Gli uomini lo ignorano, alcune donne lo allontanano con un gesto della mano, altre comprano fiori per se stesse e per le amiche.
La rosa più bella e fresca, il ragazzo la riserva alla proprietaria del locale, che lo fa accomodare vicino al bancone e gli serve thè alla salvia e qualche biscotto.
Nessuno dei due conosce la lingua dell’altro, ma anche se la conoscessero non troverebbero il coraggio di dare un suono ai loro pensieri.
Lui le guarda le mani – piccole mani – e vorrebbe farle riposare fra le sue. Il suo sguardo risale lungo le spalle, il collo sottile, le guance diafane, le sopracciglia nere e arcuate.
Ogni volta immagina di baciarle con la punta delle dita.
Lei studia i suoi occhi scuri e liquidi, le ciglia lunghe e femminee, i sorrisi rari e fugaci e si vergogna dei propri anni e dei propri pensieri.
Ogni tanto si tocca il viso, come a voler cancellare le rughe che le solcano la vita.
Qualche ora più tardi, nell’oscurità della sua camera, il ragazzo ripenserà a quell’unica volta in cui le ha sfiorato il dorso di una mano porgendole una rosa.
Quel ricordo ha assunto le sembianze di una vecchia foto logorata dagli anni e dai traslochi: lo ha consumato a forza di riportarlo alla mente e assaporarlo.
Nello stesso momento, dall’altra parte della città, la donna si chiude alle spalle la porta del locale e, nella penombra, fuma l’ultima sigaretta della giornata.
Con la punta delle dita sfoglia la rosa e si porta alla bocca un petalo alla volta, masticando piano.

©Viviana Gabrini, 2019

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