Oblò [9] di Chiara Munda

UN SORRISO NON COSTA NULLA

Mi sorride, gli sorrido.

Ero in metropolitana, linea gialla. Dovevo fare da Duomo a Brenta, cinque fermate, una manciata di minuti o poco più. Nel vagone un ragazzo era seduto per terra, armeggiava con uno zaino e un sacchetto di plastica; in mano aveva un salame avvolto nella stagnola e un pacchetto di pan bauletto; quando ci ha visti salire in massa ha detto: «Scusate» e li ha messi via. Come se la vista del pan bauletto potesse offendere qualcuno. Sarà per gli ultras dell’olio di palma, ho pensato. La carrozza è piena, i posti a sedere sono occupati, rimango in piedi appoggiata al palo vicino alle porte. Il ragazzo per terra mi guarda dal basso.

Mi sorride, gli sorrido.

«Non è che hai una monetina che ti avanza?»
«Ma magari! Ti sembro una a cui avanzano soldi?»

Gli sorrido, mi sorride».

«Vi faccio schifo perché sono seduto per terra e giro con una coperta?» Lo dice ad alta voce per farsi sentire. Nessuno gli risponde e lo dice di nuovo, poi aggiunge che non fa schifo sedersi per terra, che non fa schifo lui. Gli dico che non c’è niente di male a sedersi per terra, «Infatti, dice lui, «però si sono allontanati tutti». Mi giro: i passeggeri sono schiacciati dall’altra parte del vagone, hanno creato il vuoto intorno a noi. E forse non è per l’olio di palma del pan bauletto. Non fa schifo sedersi per terra, lo dice di nuovo. «Non fa schifo sedersi per terra», lo dico anch’io e mi siedo con lui. Il culo sul pavimento e la schiena sul palo. «Non c’è niente di male a sedersi per terra, lo dico di nuovo».

Mi sorride, gli sorrido.

Dice che sono tutti stronzi, che se passassero il periodo di merda che sta passando lui, pure loro starebbero male; gli dico che se hanno paura di un ragazzo per terra stanno già male. «Infatti», mi dice, «Infatti», gli dico.

Mi sorride, gli sorrido.

Mi dice che il brutto è dormire all’aperto, in questi giorni dorme in stazione che è riparato. «Almeno adesso non fa freddo» gli dico, lui dice: «No no, non fa freddo, però stamattina mi hanno svegliato con un calcio, mi hanno svegliato così» e mi dà un pugnetto sul ginocchio.
«Te l’ho fatto piano, ma se vuoi te lo do più forte così capisci».
«Ti pare che voglio un calcio forte?»

Gli sorrido, mi sorride.

Si agita sul suo zaino, sposta la coperta, sposta il sacchetto. Gli guardo il viso, gli occhi, i capelli e le mani: è bellissimo. Lo guardo come se volessi fargli una proposta di matrimonio.
«Tu sei più piccolo di me?»
«Non so, io ho 22 anni».
«Eh, allora sì».
«Perché tu quanti ne hai?»
«30».
«Minchia!»
«30, non 90!»
«Sì sì, però».
«Niente però».
«Niente però».

Mi sorride, gli sorrido.

Mi dice che fa due turni, uno al mattino per il pranzo, l’altro il pomeriggio per la cena. A volte anche la sera e se raccoglie tanto dorme in un bad and breakfast, così nessuno lo sveglia con un calcio. Dice così e le porte della carrozza si aprono.
«Dove siamo?»
«Brenta».
«Devo andare».
Mi alzo, lui mi prende la mano. «Grazie». Me lo dice con la voce, con gli occhi e col sorriso.
«Grazie», glielo dico col cuore.

Gli sorrido, mi sorride.

© Chiara Munda, 2018

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