Lingua madre o lingua della madre? di Ismete Selmanaj Leba

Quel giorno di ottobre mio figlio era tornato dalla scuola molto turbato. Avevo capito subito che c’era qualcosa che non andava perché non si era fermato in cucina per salutarmi come faceva sempre, ma era andato direttamente in camera sua. Era al primo anno delle medie e aveva cambiato scuola e amici. Non aveva mai avuto problemi di inserimento ed ero tranquilla che anche con i nuovi compagni sarebbe andato tutto bene. Era andato sempre molto bene a scuola; dalle elementari era uscito con il massimo dei voti in tutte le materie. Aveva avuto bravissime maestre e compagni stupendi.
Quando si era seduto a tavola per mangiare, gli tremavano le mani e il mento; si stava sforzando con tutte le sue forze per non piangere.
«Cosa c’è amore?» gli avevo chiesto.
Senza rispondere aveva abbassato gli occhi e stretto le labbra.
«Adesso calmati e raccontaci cos’è successo» era intervenuto mio marito. «Tranquillo, qualsiasi cosa sia, si troverà sempre una soluzione per risolverla.»
Ma lui non si tranquillizzava. Con uno sforzo enorme per non scoppiare in lacrime aveva detto: «Oggi, la professoressa di italiano ci ha spiegato che secondo una direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione è in programma un corso pomeridiano per gli studenti stranieri che hanno dei problemi e delle difficoltà nella lingua italiana. Mi ha detto che “siccome i tuoi genitori sono albanesi, la tua lingua madre è l’albanese e perciò è necessario che tu segua il corso”.» Si era fermato un instante e aveva aggiunto: «Mi sono vergognato molto davanti ai miei compagni. Hanno pensato che non sappia parlare bene in italiano anche se sono nato e cresciuto in Italia».

Sapevamo anche noi dell’esistenza di questa direttiva, lodevole direi, che non era rivolta a tutti gli alunni di origine straniera, ma solo a quei bambini in età scolastica nati e vissuti fuori Italia fino a quel momento.
Mio figlio è nato in Italia e ha eseguito tutto il percorso scolastico nel Bel Paese. Qualcuno ignorante e razzista – perché secondo me il razzismo nasce dall’ignoranza -, detesta tutto quello che è diverso da lui, segue i pregiudizi, non si sforza minimamente di conoscere in prima persona, e generalizza partendo da un singolo caso. Se la professoressa avesse cercato di capire la situazione, avrebbe agito diversamente. Il razzista non lo fa! Quando poi l’ignorante razzista è un professore/ssa della scuola, la situazione si aggrava perché in mezzo ci sono dei bambini.

L’indomani abbiamo lasciato tutti i nostri impegni e siamo andati a scuola. Abbiamo chiesto di parlare con la professoressa. Lei ci è venuta incontro con quell’aria di chi pensa di sapere tutto meglio di chi ha davanti.
«Mi scusi professoressa, lei pensa che mio figlio abbia delle difficoltà a esprimersi in lingua italiana?» le ho chiesto cercando di mantenere la calma.
L’ignorante razzista si sente al di sopra del diverso e dello straniero; la professoressa si sentiva superiore a noi.
«Signora, voi siete albanesi e di conseguenza la lingua madre del vostro figlio è l’albanese.»
«Lei sa il significato di lingua madre?» le ha chiesto mio marito. «La lingua madre non è la lingua della madre che ti mette al mondo, ma lingua del paese dove si nasce, si cresce e si va a scuola; la prima lingua che si apprende e si sedimenta nel cervello. Mio figlio è nato in Italia e ha eseguito qui tutto il ciclo scolastico. Lo sa che l’anno scorso ha preso 10 in lingua italiana?»
Solo in quel momento la professoressa ha realizzato che i “diversi” che aveva davanti non erano poi così ignoranti come pensava.
«Se non volete che vostro figlio esegua il corso, per me va bene. Siete voi che dovete firmare l’autorizzazione.
»
«La questione non è che vogliamo o non vogliamo noi, professoressa» ho detto, «il vero problema qui, gravissimo secondo me, è che lei ha agito con pregiudizio. Questo non lo possiamo tollerare. Se mio figlio avesse avuto delle difficoltà in lingua italiana, saremmo stati noi stessi per primi a chiedere aiuto alla scuola. Ma non mi sembra il caso.»
«Signora, le assicuro che non ho pregiudizi» ha risposto la professoressa. «Proprio io che vado ogni domenica a messa.»
«Vada qualche volta in meno in chiesa e faccia una visita nei centri di accoglienza dei poveri e degli stranieri. Io non ci vado mai in chiesa e non sono credente. Comunque ho sempre rispettato il credo religioso di tutti. Questo non vuol dire che sono più cattiva o più buona di coloro che vanno ogni domenica a messa. Usare la religione come scudo delle proprie azioni non proprio cristiane, non l’ho mai sopportato», ho risposto.

Parliamo spesso a casa di questo episodio e di tanti altri ancora. Abbiamo discusso anche del caso dei bambini di Lodi, lasciati fuori dalla mensa. Come mamma di tre figli so molto bene che i bambini questi episodi non li dimenticheranno mai. Che cosa abbiamo vinto? Cosa abbiamo avuto? Niente di buono. Abbiamo aumentato solo il loro rancore. Abbiamo buttato su di loro la nostra frustrazione, i nostri problemi, la nostra ignoranza, il nostro razzismo, le nostre paure, le nostre insicurezze, il nostro egoismo. Diventeranno adulti come mio figlio e ricorderanno questi episodi con una dose di dispiacere, certe volte anche sorridendo amaramente. Ma oramai ci hanno fatto la corazza, sono più forti di prima e in pace con loro stessi. Non sono loro i colpevoli. Loro non hanno fatto male a nessuno. La loro unica colpa è di essere figli di genitori nati in un Paese che non è l’Italia.

©Ismete Selmanaj Leba, 2019

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2 commenti

  1. Giustissimo. E’ un onore che la lingua italiana sia parlata e scritta così bene da un ragazzo. Manzoni ha creato dal fiorentino la lingua italiana per “fare l’Italia” e gli italiani, che parlavano dialetti diversi. L’Italia di oggi ma soprattutto di domani sarà quella di un italiano parlato da donne e uomini di diversa provenienza, che senza dimenticare i rispettivi idiomi saranno uniti da una lingua comune. Come nel Risorgimento. In un perpetuo Risorgimento, che è il destino di questa penisola dove da sempre molte genti si sono mescolate, nello sforzo di costruire insieme una nazione e la sua cultura.

  2. Cara Ismete, non tutti conoscono il “dettaglio” lingua madre. La lingua nell quale si fa la scuola dell’obbligo è la lingua madre. Legalmente e universalmente.

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