Legittima difesa [4] di Barbara Garlaschelli

Leggo per legittima difesa
(attribuita a Woody Allen)

Elena Mearini è una delle voci più originali del panorama letterario italiano. Ha scritto per piccole case editrici (Perdisa Pop, e ora Morellini editore) forse proprio perché il suo modo di narrare è inconsueto, fuori dal coro. Già con Undicesimo comandamento, storia di violenza domestica, mi aveva colpito per la sua capacità di spiazzarmi come lettrice, con questo suo modo di scrivere un po’ strambo, poetico e  folle.

Così, mi sono detta, per recensire la sua ultima, bellissima fatica, A testa in giù, inaugurerò un mio nuovo modo di raccontare i libri che apprezzo. Poi, se il lettore si fida di noi (me ed Elena Mearini) saprà cosa fare.

Nota della scrivente: le parti in tondo e neretto sono le mie, quelle in corsivo dal libro di Elena.

A testa in giù
di Elena Mearini
(Morellini editore)
prefazione di Elisabetta Bucciarelli

Gioele, il giovane pazzo.

C’è un bianco senza cuore, qui. Il pavimento ha il buco nel mezzo,
raccoglie l’acqua assieme al mio pianto.
Si beve il mio pianto come fosse orzata.

Le parole di Elena Mearini diventano concrete:
sono oggetti, hanno colore e sapore e rumori.

Non mi piace stare in mezzo al silenzio,
che poi senza suoni attorno è facile dimenticarsi di essere al mondo.
E allora parte tutta una fatica di timpani
che si dimenano attorno al cuore per sentirne il battito.
Gioele è dentro un suo mondo di colori e di dolori, in apparenza inaccessibile,
invece basterebbe saper ascoltare.
Io per le uova ho un debole, però devono avere
il giallo del sole nel mezzo. Non m’interessa trovarci l’incendio dentro.

Giole, il cui nome è composto da due altri misteriosi nomi,
uno femminile, l’altro maschile, quelli dei nonni paterni mai conosciuti.
Gioele che ha dei genitori
che non sanno che farsene di un figlio con la testa rotta.

Sono solo dentro la stanza, adesso. Anzi, è sbagliato dire così.
Si è soli quando nemmeno un occhio ti guarda, una testa ti pensa e una mano ti tocca.
Che io in questo momento stia dentro la testa di qualcuno, nessuno me lo può provare.
Forse in quella di mamma o di papà, in qualche snodo del loro cervello,
accucciato tra la curva di un dubbio e il rettilineo di una certezza, chissà.

Così Gioele, un giorno, trova Domingo, il Maggiolone giallo
di un dottore parcheggiato vicino all’ospedale
e decide che è arrivato il momento di osare. Di provare a scappare via
dal posto dove lo trattano come uno dei tanti uomini e donne dalla testa rotta.
In silenzio, come sempre, Gioele parte.
Ma siccome A testa in giù è un’avventura di parole e cuori…

Ecco, troppo tardi ormai. La bicicletta è già a terra.
E davanti a Dio, noi siamo i cattivi dell’inferno.

Due anime se si somigliano si pigliano e su quella bicicletta
c’è l’anziana Maria, l’unica persona al mondo in grado
di tessere con le sue parole
una rete dove Gioele può cadere senza farsi male.

O Signore dei Poveretti, la Maria è andata in terra!
Lo dicevo io, che la mia Graziella verde non è fatta per circolare negli stradoni di oggi,
tutti pieni di questi diavoli a quattro ruote, che basta un attimo e ti trascinano giù. (…)
Però al ragazzo lo chiedo lo stesso, di portarmi al Pronto Soccorso, che io sono vecchia e ho la farina dentro le ossa.
Non vorrei mai che mi uscisse fuori da questo brutto taglio, che poi hai voglia di impastare la gamba al passo.
Ha poco da guardarmi con quella faccia da topo in trappola, il giovanotto,
che nella tagliola del suo diavolo giallo ci sono finita io, mica lui.

Ed è così che inizia un viaggio che non è solo nello spazio
ma nel tempo. Nel tempo antico della Maria che
copre di parole Gioele il quale si lascia trasportare indietro
nei posti della Maria e si lascia toccare e cullare
per la prima volta senza paura.

Una accanto all’altra, le nuvole della signora Maria
mi guardano da sotto il vestito a fiori.
Invitano la mia fronte a mettersi nel mezzo, come il segno del più tra due uno.
Piego la testa in avanti, appoggio la fronte e i pensieri.
Sono accoglienti e soffici, le nuvole di Maria. Sono il cuscino più comodo al mondo.

Fuori dal tempo e dentro uno spazio creato dall’abilità
dell’autrice di inventare non parole nuove ma un nuovo ordine
in cui metterle in modo da costruire un universo
dove i suoi personaggi vivono e vibrano.
Una lettura che non può lasciarvi indifferenti.
Un viaggio indimenticabile.

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Elena Mearini

Elena Mearini è nata nel 1978 e vive a Milano. Lavora per diversi anni per una compagnia che si occupa di teatro ragazzi. Conosce poi la realtà del disagio occupandosi di laboratori in carceri e comunità. Nel 2009 esce il suo primo romanzo 360 gradi di rabbia, edito da Excelsior 1881 e vincitore del premio Gaia Mancini, nel 2011 pubblica per Perdisa pop il romanzo Undicesimo comandamento, che vince il premio Gaia Mancinie e il premio Unicam – Università di Camerino. Dal 2010 collabora col settimanale “Vita no profit”, raccontando in chiave letteraria fatti di cronaca. Collabora con la rivista letteraria “Atti impuri” e con la casa editrice NoReplay. Cura la raccolta di racconti Latte, chiodo e arcobaleno per NoReplay Editore, firmando un racconto. Partecipa alla raccolta di racconti Vacanze milane, a cura di Luca Doninelli. Nel 2013 pubblica la silloge Dilemma di una bottiglia per Forme libere Edizioni, nel 2014 la silloge Per silenzio e voce (Marco Saya editore) e partecipa alla raccolta Siria. Scatti e parole (Miraggi edizioni). È finalista al premio Maria Teresa di Lascia e vincitrice del Premio Perelà 2013.

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