Le antipatiche [34]

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© dipinto del surrealista polacco Rafal Olbinski

REQUIEM

Non mi vesto di nero. Mai.
Non uso colori sgargianti negli abiti o sulle unghie.
Non mi trucco: niente profumo, niente rossetto, niente colori sugli occhi.
Fa meno male a chi mi incontra.
L’ho imparato col tempo e con l’esperienza.
Vorrei essere trasparente.
Il mio lavoro: non si impara, non si ama, non dà soddisfazioni.
Si amano le persone, le loro storie.
Non ci si abitua mai.
Io non mi ci abituo.
«Sei un angelo?» mi hanno chiesto più di una volta.
No. Neanche un po’.
Non sanno quanta rabbia c’è in me.
Non sanno che vorrei essere trasparente.
Il mio lavoro è un lungo, lunghissimo déjà-vu: la dissolvenza di immagini tutte uguali, sempre diverse.
Non si impara, non si ama, non dà soddisfazioni.
Non si sceglie nemmeno. È lui che sceglie.
Quando io arrivo tutto è pronto.
La scena di un film già visto.
Le malattie si prendono prima il corpo, poi vogliono lo spazio.
Dilagano nelle case, in stanze trasformate in unità di terapia intensiva.
Flaconi accanto ai portagioie, Padri Pii e garze, materassi antidecubito e coperte all’uncinetto, bombole verdi dell’ossigeno e madonnine.
Quanta roba serve per vivere.
Quanta per morire.
Non ci si abitua mai.
Io non mi ci abituo.
A come mi guardano, a ciò che c’è nei loro occhi.
A quello che sperano, a quello che hanno smesso di sperare, a quello che tutti chiedono.
Palliative. C’è scritto terapia del dolore e cure palliative domiciliari sul mio contratto di lavoro.
Io sono qui solo per lui: per il dolore. A lui faccio la guerra. La mia rabbia è tutta per lui.
Ma non sono un angelo: né della vita, né della morte.
Vorrei essere trasparente.
Essere come la macchina che porta sollievo: asettica, programmata, sorda. Insensibile.
Non si ama questo lavoro, si amano le persone.
Questo è il rischio: affezionarsi, amare, mettere di mezzo i sentimenti.
Ma come si fa a non sentire?
Perché c’è sempre chi ti racconta la storia di chi è malato. Al suo posto. Sussurrando.
E chi racconta, lo fa con parole d’amore, scegliendo con cura i tempi verbali, col terrore del passato prossimo e tanto, tanto imperfetto.
Vista così la vita, vista dal racconto delle persone che ti amano è un gran bel posto dove stare.
Mi riprometto ogni giorno di vivere così. Come vorrei mi raccontassero.
Anche se vorrei essere trasparente.
Non si impara questo lavoro.
Si impara a essere professionali, a lasciare a casa la propria storia, i propri problemi.
Si diventa qualcun altro.
Qualcuno che non vuole farsi male.
Qualcuno che non può affezionarsi a persone che forse non ritroverà il lunedì successivo.
Perché ci si affeziona.
Ai Padri Pii, alle coperte all’uncinetto. Alle mogli che ti regalano le uova delle loro galline, ai figli che devono finire l’università e forse non la finiranno, alle famiglie strane.
Che in fondo tutte le famiglie sono strane.
Ci si affeziona agli odori delle case, alle stoviglie vecchie, alle carabattole della vita.
Vorrei essere trasparente.
Non vorrei rivedere quel film per l’ennesima volta.
La tregua del sollievo. L’illusione.
Palliative, c’è scritto palliative. Non dimenticatelo.
Perché lui torna. Vorace. Lui vuole tutto.
E bisogna cominciare da capo.
Aumentare, aumentare, aumentare.
Un tiro alla fune in cui la fune si spezza.
Vorrei essere trasparente.
Non chiedetemelo vi prego.
Neanche con gli occhi.
Non chiedetemelo quando il momento si avvicina.
Non chiedetemelo se posso dare una mano.
A me la mano trema.
Non è facile come volevano far credere quei pazzi di Saronno.
Non è facile quando non ci sono leggi precise.
Non è facile per un cazzo.
Vorrei andarmene in quei momenti.
Vorrei essere trasparente.
Ma resto.
Sono stata scelta.
Resto a chiedermi quale sia la cosa giusta.
Qual è il confine di dignità.
Quale il limite del trionfo del dolore.
Resto a chiedermi cosa farei per me.
E so che per me lo farei.
So che l’avrei già fatto.
Molto prima che qualcuno sia costretto a chiedere.
Perché sono piena di rabbia.
Perché lo conosco.
L’ho visto troppe volte.
E lui vuole tutto.
Ma non glielo concederò.
Non nella mia partita.
Non per me.
Non se mi toccherà scegliere.
Anche se sono stata scelta.
Sceglierò.
Anche se non è facile per un cazzo.

Quando vorrò, sarò trasparente.

© Anna Martinenghi, 2017

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