Le antipatiche [32]

whisky
© foto estratta da Pinterest

CINQUE AL GIORNO

Clemence cara,

innanzitutto vorrei scusarmi con te per essere morto. Immagino che la cosa ti abbia contrariato parecchio, specie se la mia dipartita è occorsa di lunedì interrompendo la consueta partita di burraco con le amiche, o di martedì mentre sorvegliavi Magdalene nella pulizia dell’argento. Ti puoi davvero fidare di lei. Le forchettine da dessert che mancano dal servizio della prozia Hildegard sono in garage, nella scatola delle punte del trapano. Sappi che non ho mai sopportato la prozia Hildegard: pensando a lei, la differenza fra “forca e forchettina” non mi era più chiara. Ho preferito non rischiare e occultare dal nostro salotto ulteriori strumenti di tortura.

Se sono morto di mercoledì, ritengo di essere stato un uomo davvero fortunato: il reverendo Queriot, sospeso il consiglio parrocchiale   tradizionalmente riunito intorno al nostro tavolo di mogano africano, con tuo disappunto e rinunciando, non senza sofferenza, alle frittelle di mele e uvetta che gli piacciono tanto, mi avrà portato il conforto dell’estrema unzione, in mezzo ai pianti sommessi delle figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli. Chiedo scusa per il disturbo.

Essere morto di giovedì mi darebbe tanto sollievo. È giorno di mercato e mi piace pensare che tu abbia dovuto attendere ai gravosi obblighi del mio funerale, con la dispensa piena, per ricevere degnamente i nostri ospiti. Non fatico a immaginare che mentre ordinavi quanto impreviste tanto inevitabili pulizie di tutta la tenuta – non che ce ne fosse bisogno, a casa nostra per le pulizie è sempre stata primavera – per evitare di sporcare e per fare con maggiore calma e agio, avrai disposto la momentanea traslazione delle mie spoglie nella cella frigorifera. Te ne sono grato: aver trascorso le prime ore da defunto fra pezzi di lardo, sughi congelati e braciole di manzo, avrà dato una botta di vita al mio prevedibilmente scarso rigor mortis.

So che il mio eventuale trapasso fra il venerdì e la domenica avrà messo a dura prova il tuo sistema nervoso, sconvolgendo la tua rigidissima programmazione della casa. Mi scuso con te con questo spiacevole imprevisto.

Il dottor Wilfred – a oggi ventiquattro settembre – dice che le condizioni del mio fegato non mi daranno la gioia di trascorrere con te il nostro cinquantottesimo Natale insieme.

So che avrei dovuto dirtelo – ho cercato – ma come accade ormai da un tempo che non ricordo nemmeno, è molto difficile parlare con te. Ho accennato all’argomento proprio ora, ma mi hai ripreso denunciando il fatto che sto scrivendo in un antico studio nobiliare con una volgare penna a sfera, anziché utilizzando una più appropriata stilografica.

Mi spiace farti ritrovare questa lettera, rozzamente vergata, insieme al mio testamento.

Ho accolto la notizia della mia malattia con entusiasmo, vorrei dire con la gioia dell’ergastolano a cui viene condonata la pena, ma non esageriamo. Non ci penso nemmeno a mettermi in lista per un trapianto. Voglio morire e sarò morto quando leggerai questa mia: ho vissuto a lungo e ho bisogno di riposo e di pace. Da solo.

Grazie a te, non mancherò per un tumore ai polmoni: il fegato me l’avete distrutto tu e il whisky. È stato molto più semplice nascondere le bottiglie, che il fumo dei sigari che tanto detesti.

Per questo ti nomino erede di tutte le mie sostanze (ero io quello ricco, ricordi?) a un patto. Credo che tu abbia amato di me, soprattutto la mia casa e le mie cose. Sono tue, fino all’ultimo spillo. Per goderne ancora dovrai fumare ogni giorno, ogni sacrosanto giorno della vita che ti resta da vivere, cinque dei miei Montecristo. Ho continuato a comperarli anche se mi impedivi di goderne, per via del loro – parole tue – insostenibile puzzo. Ce n’è per un reggimento e sai bene quanto costano. Sono in garage, accanto alle punte per il trapano. Il notaio Whitfield provvederà ad assicurarsi che il nostro patto venga quotidianamente rispettato.

So che mi farai contento. Fumare era il mio unico vizio, prima del whisky e prima che la donna che ho tanto amato si trasformasse nell’amministratore delegato della mia (s)fortuna.

Abbi cura di te.
Tuo per sempre
Samuel

Questo racconto è liberamente tratto dalla vera storia d Samuel Bratt, uomo inglese morto nel 1960 che lasciò tutte le sue sostanze (330mila sterline e la sua tenuta) alla moglie a condizione che la donna fumasse 5 sigari al giorno. Dietro l’assurda richiesta si celava un desiderio di vendetta: la signora gli aveva proibito in vita di fumare i suoi sigari e così alla sua morte l’uomo ha pensato bene di restituirle il favore.

© Anna Martinenghi, 2016

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