La primavera delle polveri di Sara Uslenghi

Oggi c’è il sole. E un filo di brezza che in città non c’è mai. Una giornata perfetta per andare al parco, prendere un caffè all’aperto.
Ma non si può.
I primi contagi sono ormai di un mese fa. La gente rideva. Ora non ride più.
La mia vita non è cambiata dall’inizio dell’epidemia delle polveri. Amici non ne avevo, fidanzati figuriamoci. La solitudine non mi dispiace, non sono molte le persone con le quali riesco ad andare d’accordo. Parlano di cose che non mi interessano. Mi interessano le piante, quelle sì. Ne parlo volentieri e forse un po’ troppo e le persone dopo un po’ si stufano e non capisco come mai. Ma non importa, ora. Il telefono non suonava prima e non suona adesso, non ho nessuno di cui preoccuparmi se non me stessa. Cerco di mangiare bene, tante verdure come diceva sempre la mia mamma, bevo acqua, esco in balcone a parlare con le mie piante e loro mi fanno stare tranquilla.
Oggi c’è il sole e c’è qualcosa di diverso. Un uomo nel balcone di fronte. Non l’ho mai visto e vivo qui da molti anni. Ha una maglietta rossa e un paio di jeans. I capelli scuri. Occhi grandi che guardano nel vuoto. È bellissimo.
È anche triste? Non sono mai stata brava a leggere le emozioni degli altri. Non che non mi interessino, ma proprio non sono capace. A volte rido per cose che non fanno ridere nessuno.
Sembra proprio triste, però.
Ha il balcone pieno di piante, perché è triste?
Lo vedo dare l’acqua al Sedum Palmeri, con i suoi bellissimi fiori gialli. Lo sta affogando santo iddio, ma non se ne rende conto? Se c’è una cosa che mi dà veramente fastidio sono le persone che non sanno prendersi cura delle piante.
Urlo. Non dargli l’acqua, le fai male!
Mi guarda. Mamma mia quanto è bello.
Adesso si arrabbia, penso. Si arrabbiano sempre tutti quando urlo. Dicono che ho una voce che sembra gesso sulla lavagna.
Invece sorride. Sorride con i denti bianchissimi e la maglietta rossa e i capelli al vento e io non so più bene cosa dire.
Grazie, mi risponde. Non sono tanto capace di curarle. Questa ad esempio non so come mai non sta tanto bene.
É un Sedum Palmeri, gli dico. E sento che mi sta partendo la logorrea. Fermati, fermati o se ne andrà come tutti quanti. Non riesco a fermarmi. Gli racconto tutto. Non so neanche quanto tempo è passato. Alzo lo sguardo e lui è ancora lì. Sorride un po’ di più.
Grazie, avevo bisogno di pensare a qualcosa che non fossero le polveri.
Mi viene un attacco di panico e rientro in fretta in casa. Che stupida, non l’ho neanche salutato.
La mattina dopo è lì. Ha una maglietta verde.
Mi saluta e iniziamo a parlare come se fossimo amici da tanto tempo. I balconi sono vicini e non abbiamo bisogno di alzare tanto la voce. Siamo solo io e lui. Come se fossimo seduti in uno di quei ristoranti con le tovaglie bianche e l’argenteria. Non ci sono mai stata ma so che sarebbe così.
Passano i giorni, le settimane. Parliamo e ridiamo e ogni tanto siamo anche seri. Mi regala un fiore giallo passandomelo con un filo. Un po’ mi dispiace per il fiore, ma sono anche tanto contenta.
Il cambiamento avviene gradualmente. Nessuno se ne accorge subito e neanche noi due. Le polveri piano piano si assottigliano. Due persone per strada più vicine. Una saracinesca che si alza. Il suono del camion che pulisce le strade. Bambini che giocano.
Anche lui cambia. Esce solo una volta al giorno. Parliamo, ma veniamo interrotti dal telefono. Si è fatto la barba. Ha gli occhi che brillano.
Poi arriva il giorno in cui sentiamo una voce metallica che ci dice che è tutto finito. Le polveri sono andate via. Urla di gioia. Musica. Le persone scendono in strada a ballare. Tutti insieme, anche lui.
Io piango.
Vorrei uscire ma non ci riesco. Non ci riesco da anni.
La saracinesca del suo balcone ora è sempre abbassata. Non è mai in casa. Le sue piante stanno morendo.
Lo vedo una mattina, mentre cammina sul vialetto condominiale. Lo chiamo ma non mi sente, troppo rumore, troppa musica, troppe risate. Prendo il fiore che mi ha regalato, ormai secco. Mi sfugge dalle dita e cade giù, sulla strada. Una piccola macchiolina gialla calpestata dalla folla ubriaca di aria.
Come era bella la primavera delle polveri.

©Sara Uslenghi, 2020
©Foto di copertina di Marco Brando

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