Ingredienti [1] di Antonella Zanca

© foto di Antonella Zanca
© foto di Antonella Zanca

MISO

Entro e mi siedo a un tavolino appartato, in un angolo. La giovane ragazza cinese che gestisce col marito che sembra un ragazzino il nuovo ristorante giapponese mi guarda sorridendo, come sempre.
Si è abituata a vedermi, saltuariamente, e sa che prima di tutto, prima di scegliere cosa mangiare, amo gustarmi la zuppa di miso.
Solo cinque anni fa non sapevo neppure cosa fosse il miso. I primi tempi immaginavo fosse una verdura esotica. Oggi so che è un condimento ricavato dalla soia, una sorta di dado ricco di proteine. Per me, solo coccola bollente, in cui trovare pace e regali, tofu e alga: ciotola rigeneratrice.
Profumo e ricordo, sapore e ricordo, scottarsi il palato e lo stomaco e ricordare. Miso e Paolo. Fu lui a farmi assaggiare per primo tutto il sapore del Giappone, vincendo la ritrosia e tutti i miei aggrottamenti di fronte. Mi lasciai andare, nella piena fiducia. Dire di sì al miso: da allora potevamo scoprire insieme qualsiasi cosa.
Scoprimmo noi due e scoprimmo il mondo, lavorammo insieme in luoghi lontani, sempre con la voglia di conoscere. Spesso la gioia era nel cibo di tutti i giorni, la festa era ritrovare un sapore amato da entrambi, negli spazi inusuali in cui ci mandava il nostro incarico a Medici Senza Frontiere.
Il sud del Sudan vide i nostri anni più belli, tra gente che ci amava e ci rispettava. Sudanesi ed europei a lavorare insieme e portare avanti giornate che non erano mai uguali, che nascondevano insidie ed emergenze che non potevamo prevedere. Paolo non aveva mai paura; io, sulla fiducia, non volevo neppure domandarmi cosa fosse la paura, nonostante episodi di ogni genere arrivassero a sfiorarci o entrassero di prepotenza nelle nostre vite. Ne uscivamo sempre a testa alta e festeggiavamo con una zuppa di miso fatta in casa, ormai esperti nell’arte di concederci quei lussi che ci facevano stare bene. Felicità era trovare un porro fresco, il tofu, meglio ancora lo zenzero. Ma i nostri amici sudanesi conoscevano i nostri vizi e nei loro giri nei mercati vicini trovavano sempre il regalo giusto per noi.
Qui, in via Imbriani, nella totale solitudine di questo ristorante deserto, la rivedo, la tua ultima zuppa di miso. Eravamo sereni, una piccola ragazza con l’appendice infiammata era riuscita a superare l’intervento d’urgenza e non ci sembrava potessero esserci complicazione. Rilassato, decidesti di uscire a fumare, vizio che non riuscivi a scollarti di dosso e che dicevi ti avrebbe ammazzato. Vero, ma solo perché, distratto mentre accendevi la sigaretta non vedesti il furgone militare che arrivava veloce, senza preoccuparsi di nessuno. Sentii un gran rumore e tante voci e urla e grida e ancora voci, persino un colpo di pistola. Eri là per terra, sorridevi, mi guardavi e poi non mi guardavi più.
La mia zuppa di miso, da allora è sempre troppo salata.

© Antonella Zanca, 2016

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *