Incroci [6] di Antonella Zanca

©foto di Antonella Zanca
© foto di A. Zanca

UN INCROCIO ALLA RESIDENZA GIORNI FELICI

La stanza al primo piano lascia entrare tanta luce e dietro ai vetri si vedono alberi e prati e si indovinano strade, là, dietro le rotaie.
La donna cammina con passi piccoli e lenti, ondeggiando sulle gambe gonfie, sui piedi azzurrini ricchi di capillari superficiali, a loro agio nei sandali ortopedici.
Si siede e poi si rialza, racconta e si interrompe, alza lo sguardo e domanda, muta: cosa sono qui a fare? O forse, addirittura: dove sono?
Sorride di nuovo, muove adagio le dita, apre una vecchia rubrica, i nomi ben in fila. Ad ogni pagina, tanti foglietti sparsi, dove, con la stessa scrittura, ma con caratteri molto più grandi, si ritrovano gli stessi nomi, gli stessi numeri. Fogli tagliati a mano, il retro di vecchi calendari, pagina bianca dietro allo stampato, utilizzo del tutto, regola aurea da sempre seguita: qui non si butta via niente.
La mano trema un po’, il foglietto viene messo lì, di fianco al cellulare coi numeri grandi, anche lui.
«Devo chiamare Enzo, il mio vicino di casa, di quella casa là, non di questa. Mi ha promesso di guardare il giardino, di controllare che tutto vada bene. È ora di tagliare l’erba, voglio sapere se l’ha fatto. Ho provato prima, ma la voce mi dice che devo lasciare un messaggio. Non so come si lasci un messaggio, e allora riprovo, magari mi risponde lui. Il numero meno male che l’ho ricopiato in grande, è così difficile fare tutto quello che c’è da fare. In un attimo arriva mezzogiorno e devo scendere a pranzo, mi aspettano, giù nella sala comune. La mattina ci sono cose facili e cose difficili. Difficile è alzarsi. La notte mi sveglio tante volte e poi mi riaddormento e scopro che sono le nove senza neppure sapere come ho fatto ad arrivarci.Le gambe pizzicano, i piedi prudono, le ginocchia fanno rumore, un rumore che sento solo io, come se avessi un filo diretto tra le giunture e il mio orecchio. Le sento scricchiolare e ho paura. Per un attimo penso di non alzarmi mai più, di non farcela, di restare stesa e immobile ad aspettare. Lo so cosa sto aspettando, ma non ci voglio pensare. Ci provo, mi alzo, barcollo fino al bagno, sedersi sul water non è difficile, è difficile rialzarsi. Lasciar scorrere l’acqua e lavarsi è ancora bello. Sono lenta ma mi piace e mi sento bene. Anche lavarmi i denti, mi piace. Sono pochi, ma sono sempre puliti. Mi annuso. Mi piace annusarmi, voglio sapere di buono e mi illudo di farcela a non marcire, dentro questi vestiti. Le pastiglie da prendere sono l’altro esame difficile della giornata. Quante sono? Le ho appoggiate qui, perché ora non le vedo? Le ho già prese? Erano vicino al bicchiere, l’acqua l’ho bevuta, ma le pastiglie? Passo la mano sulla tovaglia. Ne trovo una piccola, giallina. Eppure l’avevo presa, quella giallina. Se non ci sono più le altre, perché questa è qui? Sarà quella di ieri? E se la prendo due volte? Decido di buttarla, decido che per oggi va bene così e mi sento meglio. Prendo il telefono. Guardo mia nipote. Sorride e mi accarezza una mano. Lo sento, che mi vuole bene. Ma non capisce, non capisce niente. Ed è giusto così, non è facile capire, non lo sarà finché anche lei non sarà come me. Non ho voglia di spiegarle niente, continuo a sorridere. Manca poco a mezzogiorno, devo fare alla svelta, se voglio chiamare Enzo. Scuoto la testa, sono sempre in ritardo, sarò sempre in ritardo. Finché potrò.»

© Antonella Zanca, 2016

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