Il passo del bradipo (ovvero le avventure di Brady) [6]

Brady e l’Agenzia delle entrate

Brady è il contribuente ideale. Ha un lavoro statale, per definizione tassato come se fosse la risorsa nazionale lorda, netta e rateizzata. Percepisce emolumenti che è il governo medesimo ad amministrare, il che esclude per definizione che si tratti di un compenso giusto per un lavoro equamente distribuito. Non vende droga, non è destinataria di mazzette, non ruba al supermarket (ma è il supermarket che deruba lei) e sa che non andrà mai in pensione, ma transiterà dalla cattedra al ricovero per anziani sbalestrati. Anche all’interno di un impiego dove l’anarchia deontologica è diventata la coordinata principale, lavora per tre, perché almeno due dei suoi colleghi vanno in aula quando sono in preda a delirium tremens o quando si sono persi nel nuovo, mirabolante edificio destinato alla didattica accademica. Fa il suo mestiere, tra la costernazione stupita dei suoi studenti. Brady ricorda ancora l’emozione della sua prima laureanda che, guardando il dattiloscritto sottolineato in rosso e annotato dopo la sua revisione, ha esclamato: “Ma lei lo ha letto DAVVERO!”. Brady, sorpresa e arrossita, aveva annuito timidamente, chiedendosi cosa ci fosse di stupefacente nel fatto che avesse fatto il suo mestiere. Sono passati molti anni da allora, e tuttavia, curiosamente, Brady continua a lavorare perché solo questo può giustificare il suo stipendio alla fine del mese.

Brady, che è il contribuente ideale per tutte queste ragioni, è molto amata dall’Agenzia delle entrate. Quest’ultima, essendo una creatura potentemente disturbata, dimostra il suo amore perverso sottoponendo le dichiarazioni dei redditi di Brady a controlli compulsivi. Sulle ultime 5 dichiarazioni – che comunque Brady è incapace di compilare e affida a un commercialista – Brady ha ricevuto 3 richieste di consegna delle certificazioni relative. L’ultima le è stata fatale. Convertita alla mirabolante tecnologia che consente di consegnare i documenti attraverso una “comoda procedura online”, Brady ha fatto la scansione di tutti i certificati, inceppandosi sulle ricevute della farmacia, su carta termica scolorita dal tempo e dunque invisibili come il Fantasma dell’opera. Solo rituali voodoo hanno fatto riapparire una pallida traccia delle cifre detraibili. E alla fine, tutta sudata e vagamente puzzolente, Brady è entrata nel sito, ha provato a caricare i file – che l’Agenzia richiede rigorosamente divisi in precise categorie – per accorgersi che l’operazione di caricamento online prevedere l’acquisizione di un Pin. Il Pin si deve richiedere, via mail o per telefono, e per motivi oscuri arriva in 4 o 5 settimane: probabilmente deve formularlo il Mago Zurlì, che, essendo anziano, impiega tempo a combinare i numerini. E tuttavia i documenti sono da caricare entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione. Allora, Brady, disperata, fotocopia furiosamente la documentazione, si scapicolla in un ufficio postale, intavola alcune risse con rognosissimi vecchietti professionisti dell’aggiramento della coda, scuote dal coma vegetativo un impiegato posteggiato nella sua posizione dal 1935 e dimenticato lì, effettua una spedizione con ricevuta di ritorno, e si colloca in modalità attesa.

Il giorno 19, l’Agenzia delle entrate risponde in due modi:

  1. una lettera che lamenta il mancato ricevimento della documentazione e la relativa multa

  2. la ricevuta di ritorno che attesta il ricevimento della documentazione

L’Agenzia delle entrate deve soffrire di uno sdoppiamento della personalità: multa il contribuente per non avergli mandato un documento che però dichiara di aver ricevuto. Nonostante Brady detesti il telefono in ogni sua manifestazione, agguanta il coraggio a due mani e digita il numero indicato su tutte le comunicazioni: il magico sportello informazioni solo per voi. Confida che l’impiegata assegnata alla pratica, una signora dall’evocativo nome di Maria Deputato, chiarisca ogni suo dubbio. Il numero, tuttavia, risulta disattivato. Disattivato. Cinguettante e disattivato.

E’ solo a questo punto, non un minuto prima e neanche uno dopo, che Brady indossa la mimetica. Solo in questo preciso momento, Brady ricorda di aver visto taxi driver, si arma fino ai denti, si guarda allo specchio ringhiando e si prepara a spargere il sangue. Poi, come sempre, si rimette in pantaloni di felpa e T-shirt e si versa un Bourbon. E ‘fanculo le entrate.

© Nicoletta Vallorani

Condividi: