Il mio veleno di Alessandro Zannoni (romanzo inedito)

È davvero un grande onore per Sdiario che uno scrittore ci doni il primo capitolo del suo romanzo ancora inedito. Se poi questo scrittore è Alessandro Zannoni oltre all’onore c’è anche un grandissimo piacere. Perché Zannoni è bravo; è una penna scarna e appuntita come una scheggia di vetro.

E questo capitolo ne è l’ennesima dimostrazione.

Cap. I

Nel silenzio perfetto della mattina presto, fumo seduto in prua alla barca, piedi nudi ciondoloni nel vuoto. La brezza che sale dal mare impasta il fumo col salmastro, l’odore di nafta e la puzza di qualcosa; allargo le narici e inspiro. Qualcosa che marcisce da qualche parte qui vicino. Distrattamente muovo lo sguardo attorno, l’acqua riflette una luce appuntita che mi costringe a chiudere gli occhi. Rimango così, cieco, a fumare a testa bassa, impegnandomi a non pensare, a non cadere in questa trappola, perché lo so, so che tutto questo silenzio, questa possibilità di solitudine, di pensiero libero, mi fa solo male, come accade da un po’ di tempo, perché finisce che rimugino sempre sulla mia vita e sulla mia sconfitta. Non mi fa orrore questa parola. Ho sempre creduto all’importanza della sconfitta come propedeutica alla vita, per rafforzarmi, per imparare a stare al mondo, per diventare un uomo migliore, tirare fuori il meglio di me e impormi. Ho sempre creduto di essere un vincente, per questo perdere non mi ha mai spaventato, non ha offuscato la visione fulgida del mio futuro, e ho accettato gli insuccessi con dignità. La dignità del perdente. Ho stima di chi ammette a viso aperto la propria sconfitta, di chi non se ne vergogna, di chi se ne assume la colpa e non accampa scuse, soprattutto non accusa gli altri della propria debacle; li trovo eroici, ammirevoli, specialmente in questi tempi tristi di umanità plastificata, di valori calpestati e irrisi, di vincenti a tutti i costi.
Mi odio quando cerco di addolcire la realtà.
La realtà dice che ho cinquant’anni anni e sono un perdente.
Per
den
te.

Lo scandisco a voce alta nel vuoto della darsena. Risuona perfetto.
Merda, lo sapevo che finiva così.
Il rumore delle sartie che cioccano metalliche contro gli alberi maestri mi desta.
Apro gli occhi, spengo la sigaretta; inizio il mio lavoro.
Districo il tubo di gomma, e schiaccio il grilletto della pistola di plastica, il getto d’acqua esce violento a bagnare la barca. Laverò con cura, ben attento a stendere il sapone e togliere ogni segno di sporco dallo scafo; asciugherò gli acciai che corrono sulle fiancate, poi li luciderò con un panno di cotone morbido, sfregando con energia per eliminare ogni residuo di calcare; controllerò le cuscinerie, toglierò lo sporco leggero, i capelli, le briciole e la polvere, e se è il caso le laverò con un prodotto specifico per le macchie di caffè o di crema solare; laverò i vetri per ultimi, perché sono i più noiosi, perché quest’acqua è troppo calcarea e lascia sempre antiestetiche macchioline difficili da togliere.
Il proprietario di questa barca è un tipo preciso, so che quando salirà a bordo la controllerà con perizia, perché ci tiene come fosse un figlio, come mi disse la prima volta che ci siamo conosciuti. È buffo, suo figlio l’ho conosciuto e posso affermare che cura molto meglio la barca.
Metto il sapone necessario dentro al secchio e lo riempio d’acqua; la schiuma sale copiosa verso il bordo, si spande un profumo fresco che richiama subito a qualcosa di pulito; intingo lo scopettone e comincio a lavare. Mi piace vedere il sapone che si stende sullo scafo, il rumore della leccata vigorosa delle setole gialle dello scopettone sulla vetroresina, mi piace osservare i segni di sporco che scompaiono dopo poche passate; ma la cosa che preferisco è il risciacquo: sto attento ad ogni centimetro di scafo, passo coscienziosamente il getto avanti e indietro, a destra e sinistra, tenendo ben salda in mano la pistola, e magari ripasso più volte perché mi accorgo della presenza di schiuma nera che ancora corre verso gli scarichi, e non vorrei mai dimenticarne un po’, che non lavassi bene proprio questa barca, che il proprietario ama più del figlio.
Che almeno di questa possa andare fiero! Che almeno di questa possa essere orgoglioso e appagato! Che possa controllare soddisfatto il mio lavoro e godersi il mare e il fine settimana, tranquillo gioviale e rilassato, e prendere il largo con gli amici e la famiglia, tutti felici e sorridenti, e al ritorno lasciare un biglietto con scritto Complimenti per la pulizia! e rendere orgoglioso anche me, che svolgo con cura e dedizione questo lavoro, perché voglio dare un senso a tutto quello che faccio, come fosse l’ultimo impegno da portare a termine, e da quello dovessi essere giudicato e ricordato.
Come fosse l’ultima memoria che lascio di me.

©Alessandro Zannoni

(Immagine del “cubo” di Sdiario di Sandra Giammarruto )

Scrivo romanzi per adulti e per ragazzi, pubblico racconti su antologie e riviste di settore.
Ho scritto i testi del fumetto “Il cugino” disegnato da Lorenzo Palloni.
Nel 2002 ho dato vita al FestivalNoir di Lerici, che si è trasformato negli incontri letterari “Leggere fa male”.
Nel 2018 ho organizzato “Mi piace corto”, primo festival Italiano dedicato al racconto.

Dal 2017 scrivo per il cinema.
Conduco Senzafiltro un programma in diretta radioweb su www.radiorogna.it
I miei interessi sono curati da Stradescritte

Il suo sito è qui

Per presentazioni contattare: ufficiostampa@arkadiaeditore.it

Qui il booktrailer del suo ultimo libro Stato di famiglia (Arkadia editore – Collana Sidekar)

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