Gli involuti [4] di Anna Martinenghi

LA ROSE

Mi ha accompagnato per farmi piacere. Il jazz era la sua musica e quella roba sdolcinata per cui la prendevo in giro. Sopportava i miei gusti da nerd anzianotto, perché l’amore è anche sordo, quando vuole.  Avevamo un patto non scritto: una volta sceglievo io, una volta sceglieva lei. Così i nostri venerdì sera erano sempre una sorpresa. Io sopportavo jazz e classica, lei la roba pesante.

«Mettiti qualcosa di decente» era il suo codice per una serata elegante.

«Ti voglio lurida» era l’eufemismo per i miei venerdì di metallo. Lei s’infilava una vecchia maglietta dei Guns n’ Roses, la massima trasgressione. Come avrebbe mai potuto essere lurida con quella frangetta dritta, i capelli lisci e sottili che si riallineavano a ogni movimento, gli occhi trasparenti e il sorriso irresistibile?

Mi ha accompagnato per farmi piacere. Era stata in università tutto il pomeriggio. Sapevo che era stanca.

«Non vorrai lasciar uscire da solo un uomo così affascinante? Non vorrai lasciarlo in balia di una moltitudine di donne assatanate? Non vorrai stare in casa di venerdì tredici?» le avevo gridato dal bagno. Lei sul divano, sotto il plaid a quadri rossi e verdi era già pronta, con la maglietta dei Guns e il vecchio giubbetto di pelle. Bellissima.

Mi ha accompagnato per farmi piacere. Siamo arrivati tardi. Il locale era murato di gente. La fatica della settimana sembrava lontana, con una birra in mano.

«Voglio andare più vicina al palco» ha gridato già alla seconda canzone.

«Non sono alta due metri come te, sono una nana» mi ha detto prendendomi la mano e iniziando uno slalom fra le persone. Eravamo vicino all’ingresso, accanto al bancone del bar, ci muovevamo lenti.

«Ti voglio piccola e cattiva» le ho detto, mentre sbattevo contro tutti. Non credo abbia sentito. Il volume era altissimo. Gli spari di più.

Mi ha accompagnato per farmi piacere. Poi non abbiamo avuto più tempo. I capelli, la frangia dritta, gli occhi, la maglietta, il sorriso irresistibile, tutte le sue molecole, tutte le mie molecole, la birra, la stanchezza della settimana, ciò che eravamo stati, ciò che potevamo essere, le nostre vite, il nostro amore sordo, sono caduti sul pavimento come biglie di vetro. Ci siamo sparpagliati ovunque.

Mi hanno preso in piena schiena. Metallo. Una raffica.

Sono alto due metri. Mi avrebbe preso anche un cecchino cieco. Non lo so perché sono morto. Non ho avuto il tempo. Non so chi è la bestia che ci ha fatto questo. Sono caduto su di lei: grande e grosso come sono, le avrò fatto male.

L’ultima cosa è stata sangue: rumore e sangue. Una macchia rossa è sbocciata sulla sua maglietta dei Guns. Era una rosa, vi giuro. Troppo didascalico. Non si può morire così.

Ditemi che lei non è morta, vi prego. Non lo meritava. Lei mi ha accompagnato solo per far piacere a me.

Dedicato a tutte le vite spezzate
che ci raccontano il valore della nostra.

© Anna Martinenghi, 2015

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