DoctorWriter [38] di MariaGiovanna Luini

foto di MariaGiovanna Luini
foto di MariaGiovanna Luini

IL ROMANZO DEL MAGISTRATO

Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.

Capitolo 28

Fissava gli alberi attraverso la finestra: ormai le foglie, i rami, l’energia che li circondava erano compagni delle sue ore di meditazione. Non avrebbe saputo descrivere la bellezza dello sciame luminoso che si spostava a destra e a sinistra, su e giù, compatto ma liquido e sciolto come la coda di una cometa. Scorgeva l’energia degli alberi e l’energia delle persone: ogni persona aveva un alone intorno, un insieme cangiante di colori che mutava con l’umore, lo stato di salute, i pensieri e il desiderio. L’amore aveva i colori più belli, si era accorta tanti anni prima che le persone che si amavano erano legate da flussi colorati di energia purissima e vivace, dispettosa e gaia. Chissà perché aveva raccontato solo a Gemma ciò che riusciva a vedere, e nemmeno a lei comunque aveva confidato di avere ricevuto la visita dell’anima di Riccardo.
Riccardo le parlava anche senza farsi vedere: lasciava segni piccoli e grandi qua e là, lo faceva ogni volta che lei aveva bisogno di credere che qualcosa di lui vivesse ancora. Aveva bisogno che capisse: doveva cogliere il messaggio e permettergli di entrare nella luce, più o meno doveva essere così. Le anime forse riuscivano a evolvere nella luce solo se completamente libere da vincoli terreni: il dolore di chi le compiangeva era un vincolo, ma lo era anche il senso di colpa. Per questo aveva insistito a manifestarsi con lei in tanti modi, per questo ancora non lo percepiva in pace anche se aveva molto chiaro che fosse felice.
Era felice anche in quel momento, lo sentiva presente e affettuoso nell’aria profumata che entrava dalla finestra. Era contento per lei e per se stesso: finalmente il quadro della sua morte si stava facendo evidente e lei avrebbe indovinato cosa fare per aiutarlo.
Il giorno era nato con l’amore tra lei e Giuliano: si erano svegliati insieme e ogni dubbio era scomparso, la quiete umida e perfetta del ritrovarsi li aveva spinti ad amarsi e a non bloccare il desiderio che ormai non riuscivano più a scacciare.
Il sesso con lui era stato uno strano miracolo: i gesti erano lenti e languidi, il corpo piacevolmente esausto. Quando era uscito per andare a lavorare si era immersa nei libri ma l’aria fresca e la luce l’avevano richiamata: adesso rallentava il respiro e lasciava gli occhi sul giardino. Avrebbe potuto tendere una mano e toccare le foglie, i fiori delle aiuole, le panchine di sasso e i tronchi pieni di resina a gocce.
Lo sguardo andò alla scrivania: sul ripiano il foglio riempito di parole. Si spostò, lo prese. Lesse l’ultima parola. Riccardo. Rilesse ancora.
– Leggi, Gianna, non smettere.
– Ho capito amore, sto leggendo.
Qualcosa sul foglio sembrò accendersi. Riccardo. Riccardo. Possibile che non l’avesse notato prima? Possibile che nessuno oltre a lei fosse arrivato alla conclusione?
Era stata aiutata dal biglietto ritrovato nella tasca, ma anche senza avrebbe messo insieme le informazioni, prima o poi. E avrebbe intuito. Aveva sempre avuto la risposta davanti, dalla mattina dell’attentato: lui la guardava, non spostava gli occhi, era su di lei e ci era rimasto finché era crollato, morto. Non aveva tentato di fuggire, là immobile a lasciarsi ammazzare. Non era normale: chiunque altro avrebbe abbozzato una fuga, avrebbe cercato anche solo con lo sguardo la via migliore per sottrarsi ai colpi. Nessuno si lascia ammazzare così, fermo e senza un accenno di difesa. Fabrizio e Luca ci avevano provato: era stato inutile ma avevano tentato di salvare Riccardo e se stessi. Lui no.
– Ti guardo per averti con me, tienimi con te amore. Non posso fare altro, la morte è la mia unica via e non c’è bivio. Amore mio, tienimi stretto. Vado perché altro non posso fare.
Era evidente. E la notte prima, l’amore intenso e folle, il desiderio simile al primo incontro e a una voglia a lungo repressa, all’estremo saluto di un compagno il cui tormento trovava sfogo solo nel corpo della sua donna. Se ne era accorta: l’aveva voluta, era entrato in lei perché lo ricordasse e, chissà, riuscisse a concepire il figlio che era mancato. Aveva resistito al sonno e ripetuto i gesti ancora, ancora, ancora. Un uomo malato di cancro, e metastatico. Lei era stata il suo piacere estremo, a Valeria questo era negato. Se anche avesse fatto l’amore con lei nel pomeriggio (era sicura che l’avesse fatto, non ne aveva prove ma non servivano), aveva riservato a sua moglie il saluto della notte. E il ricordo recente, definitivo. Le ultime parole – di amore – del condannato.
– Brava, amore. Adesso pace, e perdono. Aiutami amore, perdono.
Ormai conosceva il significato del biglietto. Sapeva cosa avrebbe dovuto perdonare, e non era la sola a dovere perdonare. Strinse il foglio in attesa della rabbia, della ribellione, ma ebbe ancora silenzio. Sorrise accarezzando i tratti decisi della grafia di Riccardo: se a tutti fosse stato dato di vederlo dopo la morte sarebbe stato più facile, se chi piangeva o lo odiava o si straziava per quell’attentato avesse potuto credere a ciò che vedeva lei tanto dolore si sarebbe trasformato in speranza. E amore, quell’amore così impossibile da raccontare: era l’amore che Riccardo aveva negli occhi quando riusciva a vederlo. La osservava come mai era capitato quando era vivo, la quantità e il calore e l’immensità del suo amore potevano solo appartenere a un mondo differente.
– Sei un bastardo. Grandissimo figlio di puttana, bastardo. Ma ti amo. Non smetterò mai di amarti, anche quando nella mia casa vivrà un altro uomo. Anche questa mattina, quando ho amato Giuliano con la foga e la passione che con te non ho mai trovato. Non era colpa tua, non era colpa mia. Ti amo, Riccardo. Ma non sono io che devo perdonare.
– Aiutami, voglio andare nella mia luce.
– Dove sono Fabrizio e Luca? Hai ucciso anche loro.
– Perdono, per favore. Perdono.
Aveva combattuto la mafia, la mafia l’aveva ucciso: questa era la versione che lui aveva voluto costruire. C’erano i giornali, i servizi televisivi, i dibattiti. Il frastuono era stato immenso, esattamente ciò che aveva sperato: la sua missione di magistrato era sopra ogni altro valore, ogni emozione, ogni priorità. Adesso era polvere, e la gente lo ricordava. Ricordava Riccardo Conti. Solo lui.
Il bambino di tre anni che aveva sollevato tra le braccia avrebbe conosciuto un altro padre perché Fabrizio era polvere insieme a Riccardo e a Luca. E Luca non ci aveva provato, non era stato padre: dei tre, era l’unico a non avere figli. Meglio o peggio? Meglio per i figli non nati, forse, ma peggio per lui. Non sapeva quale significato avesse la paternità. Cenere, polvere, e anima. Erano tre anime. Alzò lo sguardo alla finestra e fu un istante. Davanti agli alberi, nitide e risplendenti di luce, tre figure diafane. Le palpebre si abbassarono per riaprirsi subito, non le vide più. Ma sapeva: erano Riccardo, Fabrizio, Luca.
– Ragazzi, mi mancate un sacco. So che siete vivi e sono fortunatissima perché vi posso vedere, ma mancate lo stesso.
– Hai capito adesso, amore. Se potessi non lo rifarei, ma ero nato per questo. Avevo scelto di incarnarmi per questo destino, e anche loro. Ora tocca a te, sei tu che devi scegliere. La gente ha visto che la mafia ha ucciso tre uomini buoni e ha reagito: ci prova, vuole combatterla. Le coscienze terrene, le conosci? Piangono, discutono, lottano. Perché noi siamo morti così. Ma tu, tu ora sai. Fabrizio e Luca sono morti con me, e sono martiri. Tu sai, amore. E decidi.
Cosa sapeva? La sua vita ormai era un insieme di mistero che si rincorreva, niente che fosse dimostrabile ma con la profondità di un abisso: non era mai stata così certa di ciò che vedeva e sentiva, eppure al mondo sarebbe sembrata folle.
Scelse una stilografica: voleva che l’inchiostro avesse colore diverso da quello usato per tutti gli altri nomi. Scrisse sullo stesso foglio, in rosso: Fabrizio – Luca.
C’era molto da perdonare, e non riguardava solo Riccardo.

[ Continua… ]

© MariaGiovanna Luini, 2016

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