DoctorWriter [32] di MariaGiovanna Luini

foto di MariaGiovanna Luini
foto di MariaGiovanna Luini

IL ROMANZO DEL MAGISTRATO

Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.

Capitolo 22

– Andiamo ad Anzio, per favore.
Anzio e il mare, Anzio e la notte. Non era sfuggito alla regola della casa al mare: chiunque abitasse a Roma e vantasse un conto in banca degno di esistere doveva possedere un appartamento, una villa, un monolocale al mare. Quella casa era vuota da mesi, l’avrebbe trovata fredda e impregnata di chiuso. Ma avrebbe visto il mare, nero e argento nel riflesso della notte e spruzzato di rosso all’alba. Comunque ormai non aveva altro posto: Marta era fuori discussione, se Gianna l’avesse scoperto avrebbe perso l’unica donna che contava. Chiara lo stava aspettando ma non era capace di andare da lei, ed Elena nel letto piccolo con le braccia raggomitolate al volto era un pensiero impossibile. Valeria, poi, recriminazioni a parte, gli ricordava ogni istante il tradimento di Riccardo. Era l’ora di chiudere con lei, per sempre.
– Si ricordi di passare di nuovo da mia moglie per i cambi di abito.
– Va bene, dottore.
Il tono di Gennaro sussurrava tanto: neutro, paziente. Come si fa con un malato o un infelice. Ed era quello, un infelice. Sbandava di casa in casa e non si fermava, rimbalzava contro le mura e i cancelli e non trovava pace. Provò a distinguere i dettagli del paesaggio. La notte, bellissima, diceva l’estate. Gli alberi fitti sulla Pontina erano ombre scure, storte, fantasmi randagi e giocosi. Senza riflettere chiamò Chiara: indovinò troppo tardi che stesse già dormendo.
– Amore, cosa fai?
– Papà, sono a letto. Ho sonno. Quando arrivi?
– Tra qualche ora, tesoro. Mi perdoni?
– Sì, ma adesso ho sonno. Ne parliamo domani?
– Sì, telefonami quando ti svegli.
– Cosa dici? Vuoi dire che non arrivi a casa?
– Onestamente non lo so, dipende.
– Da cosa?
– Dagli impegni, lo sai.
Non aveva la forza di specificare: un impegno avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, ma non i dettagli che Chiara sperava di ricevere.
– Va bene, papà, buona notte.
– Buona notte, tesoro.
Spense il cellulare. Evitò lo sguardo di Gennaro nel retrovisore, si immerse nella notte fuori dal finestrino.
– Dottore, ci vorrà almeno un’ora per arrivare. Domani mattina a che ora deve ripartire?
Sorrise. Stava tentando di restituirgli il buon senso.
– Presto. Molto presto. Mi scuso molto con lei, sta lavorando troppo per causa mia.
– Non deve preoccuparsi. Lo faccio volentieri. Ma lei…
– Io?
– Dovrebbe stare più attento, e riposarsi.
Non gli rispose. Era certo che volesse dirgli altro, voleva che si rendesse conto delle responsabilità. Di padre e, forse, di marito.
Non sarebbe più stato un marito: aveva recuperato i numeri di telefono dell’avvocato Mesoli, il legale che seguiva le questioni della famiglia, li aveva scritti su un taccuino che teneva in tasca. Era il primo passo verso la separazione. Chissà come avrebbe reagito Chiara: Elena era piccola, ma Chiara avrebbe sofferto. Nessuno resta in casa solo per preservare la serenità dei figli: nessuno sano di mente, almeno. L’atmosfera che si era creata con Valeria destabilizzava molto più di una dignitosa e civile separazione, andare avanti era inaccettabile: lo spettacolo di un padre che dorme sul divano e si scansa un metro per evitare di sfiorare la moglie nei corridoi non deve essere granché.
– Dottore, sta bene?
Si limitò ad annuire, distratto.
– Scusi se insisto, ma non potrebbe prendere qualche giorno di ferie? Non si è mai fermato da quando suo fratello è stato ucciso.
– Idea geniale! Cosa potrei farci con le ferie?
– Beh… Scusi, ma…
– No, le chiedo scusa. Mi perdoni, Gennaro, non volevo essere brusco. E’ che non è il momento per le ferie. Però apprezzo che si preoccupi. E mi sento in colpa perché le faccio fare tardi.
Sospirò. Perfino l’aria faceva male. Si appoggiò con la fronte al finestrino, era fresco e umido.
– D’accordo. Senta, ci ho ripensato. Torniamo indietro. E’ troppo lontano e non ha senso. A casa di Gianna, per favore.
Gennaro frenò e spostò la macchina al lato della carreggiata, cambiò direzione senza commenti.
Non sapeva cosa avrebbe detto o fatto: voleva vederla e trovare la pace. Si assopì finché arrivarono al cancello, azionò l’apertura con il telecomando. Le luci al piano terra erano spente.
– Dormo qui, mi venga a prendere domani mattina alle nove. Non dica a nessuno dove trovarmi. Buona notte.
– Non lo faccio mai, dottore. Buona notte, si riposi.
Quando Gennaro fu uscito restò in silenzio, fermo, a osservare il giardino. In un’altra notte che assomigliava a quella il cancello si era aperto e richiuso, gli attentatori si erano accomodati in giardino. E avevano aspettato Riccardo. Non erano entrati in casa, avevano scelto posti comodi per osservare l’ingresso. Nessuno di loro aveva avuto un ripensamento? Avevano controllato che le armi funzionassero, avevano avuto fame e sete?  Avevano immaginato cosa stessero facendo Riccardo e Gianna, li avevano spiati? E loro, Riccardo e Gianna? Come avevano fatto a non accorgersi? Solo dallo studio di Gianna era difficile sentire citofono e cancello, dalla camera da letto invece non ne era sicuro, ma doveva essere semplice rendersi conto che era stato azionato. Dormivano così profondamente? Chiacchieravano? Litigavano? Facevano… La mente si bloccò. Era tardi e non stava andando da nessuna parte, doveva smettere di pensare. In fretta infilò le chiavi e aprì la porta.
Il silenzio lo colpì. Con un silenzio così sarebbe stato impossibile non accorgersi del movimento del cancello. Posò la valigetta con i documenti e si assicurò di avere chiuso la porta. Salì le scale e camminò lento verso la camera da letto, bussò due volte.
– Ciao, Giuliano, vieni.
La vide rannicchiata su una poltrona con un pigiama bianco e una coperta leggera addosso. Aveva un libro sulle ginocchia.
– Ciao. Eccoti di nuovo qui, che piacere! Come stai?
– Male. Ormai non capisco cosa faccio. Mi comporto da cretino. Ma adesso che sono qui sono più rilassato.
Gianna accese la luce.
– Come sta Chiara?
– Non sono andato a casa.
– Lo immaginavo. Altra scopata con amica compiacente?
La fissò, sorpreso. I suoi occhi pungevano, il tono della voce era diverso.
– Cosa dici? No, pensavo di andare al mare. Sono quasi arrivato ad Anzio e non me la sono sentita. La casa vuota, il silenzio, i ricordi. E ho avuto voglia di rivederti.
La vide chinare la testa, il sorriso appena accennato.
– Sì. Anche io volevo rivederti.
Strinse i pugni per impedirsi di toccarla. Percepì l’eccitazione, violenta. Guardò da un’altra parte.
– Non so, forse non è stata una buona idea.
– Non voglio sapere se sia stata buona oppure no. Sei qui e ti vedo stanco. Dormiamo, ai problemi penseremo domani.
Ebbe il dubbio che non si fosse accorta. Si era alzata, sfilava da un cassetto un pigiama di Riccardo.
– Organizziamoci. Usa questo. Ti preparo uno spazzolino nuovo. E per domani hai i vestiti di tuo fratello.
Si voltò per andare in bagno. Si fermò sulla soglia.
– Puoi spogliarti mentre sono di là.
Provò a scherzare.
– Mi hai visto nudo per anni, ora ti vergogni?
– Vero. Ma l’erezione no, non te l’avevo mai vista. E oggi è la seconda volta. Mi sento enormemente sensuale.
Sparì in bagno. Nello sguardo e nella voce Gianna aveva avuto una sensualità irresistibile, l’energia dell’erotismo. A fatica scacciò l’impulso di raggiungerla per assaggiare finalmente il sapore delle sue labbra, la consistenza dei suoi seni: si alzò e tolse i vestiti, infilò nel cervello ricordi spiacevoli e un elenco di incombenze noiose che lo aspettavano il giorno successivo. Aprì un po’ la finestra per respirare, indossò il pigiama e si nascose nel letto, si augurò che il contatto con le lenzuola fredde aiutasse. Poi chiuse gli occhi e aspettò: la sentì muoversi in bagno, poi in camera da letto. Dopo qualche minuto la sua mano gli sfiorò il viso.
– Dormi?
– No. Provo a calmarmi.
La risata di lei gli strappò un sospiro.
– Bravo. Perché domattina ti svegli presto, ti prepari e vai a lavorare. Poi torni da Chiara e stai con lei. Vero?
Lo coprì meglio con il lenzuolo e gli si strinse contro. Le sue mani lo accarezzarono, si fermarono sulle spalle.
– Vero, Giuliano?
– Tieni le mani così, tienile così. Mi dai pace.
– Certo, ora rilassati. Dormiamo adesso, va tutto bene.
Non le rispose. Qualcosa in lei suscitava passione e quiete, e il confine non esisteva. Le sue mani erano la pace, toglievano la razionalità. Aveva l’impressione di essere in mare, nella sera appena nata con il rollio a cullarlo. Intontito, la attirò di più a sé e si lasciò scivolare nel sonno.

© MariaGiovanna Luini, 2016

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