DoctorWriter [30] di MariaGiovanna Luini

foto di MariaGiovanna Luini
foto di MariaGiovanna Luini

IL ROMANZO DEL MAGISTRATO

Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.

Capitolo 20

Solo quando dovette respirare l’aria pesante nel corridoio affollato si rese conto dei cinque minuti di anticipo, non era riuscito a dominare l’inquietudine. Alessandro Forti lo stava aspettando: come nell’incontro precedente ebbe addosso il suo sguardo, il mezzo sorriso che incoraggiava a parlare ma non poteva tranquillizzarlo.
– Il quadro non è chiaro. Ho i risultati dell’autopsia, che sono stati una sorpresa anche se non so quanta rilevanza possano avere.
– Cioè?
– Un attimo e le dico ciò che il patologo ha comunicato. Prima però vorrei che provasse di nuovo a ricordare se suo fratello si sottopose a cure mediche o esami diagnostici nei mesi prima della morte.
Era malato. L’insistenza sulla salute doveva avere una ragione.
– Quando mi ha fatto questa domanda sono rimasto stupito. Ci ho ripensato: non mi viene in mente altro che la lieve bronchite cui ho già accennato. Ebbe per qualche tempo la tosse. Mi sembra di ricordare che avesse un po’ di febbre, niente di grave. Andava a lavorare regolarmente. E’ stato un giorno a casa, forse, ma non ne sono sicuro. Gianna gli prescrisse una radiografia del torace ma non sono certo che l’abbia fatta: era difficile da gestire anche per un medico, immagino. Ma dai, che radiografia vuoi che faccia? Sei una fifona, lasciami stare! Ha presente? Era così. Probabilmente la cosa si risolse spontaneamente. Ricordo che Gianna parlò di un antibiotico e forse fu visitato, ma non so da chi.
Forti abbassò lo sguardo per controllare qualcosa, poi di nuovo lo fissò.
– La situazione non era buona. L’autopsia ha rivelato che suo fratello era malato, aveva un tumore. Se permette leggo il referto perché ci sono termini che non conosco. Me lo sono fatto spiegare ma ho qualche limite. Si trattava di un microcitoma polmonare, o tumore a piccole cellule: sembra che sia un tipo di tumore del polmone che non si può operare. E’ molto aggressivo e viene curato con la chemioterapia e alcune applicazioni di radioterapia. Però non guarisce quasi mai completamente.
– …
– Suo fratello aveva questo tumore nel polmone di sinistra, nel fegato e nel cervello. L’autopsia parla di metastasi epatiche a diversi segmenti, che credo siano i settori che compongono il fegato, e di metastasi encefaliche iniziali, cioè di piccole dimensioni.
Tossì. Ritrovò a stento la voce.
– Ma scusi, non è possibile. Se avesse avuto quel tumore, addirittura con le metastasi, l’avrei saputo. Avrebbe dovuto fare le terapie, o almeno qualche esame. Avrebbe avuto sintomi, no? Come è possibile? Forse non lo sapeva!
Il magistrato esitò. Consultò di nuovo alcuni documenti.
– Temo proprio che lo sapesse, invece. Si era rivolto a un istituto oncologico piuttosto famoso dove aveva incontrato un medico straniero che si è rifiutato di fornirci i particolari. Siamo riusciti ugualmente a sapere sequestrando la cartella clinica: gli esami avevano messo in evidenza il tumore e le metastasi, un altro medico aveva detto chiaramente che non esistevano possibilità di cura se non un ciclo di chemioterapia piuttosto pesante il cui risultato era incerto. Esiste la firma di Riccardo su alcuni documenti e sul consenso informato agli esami.
– Ma no, non è possibile! Eravamo uniti, avrebbe parlato con me della malattia.
– Non l’ha fatto, a quanto pare. Mi dispiace.
– Non riesco a crederci. Non mi aspettavo queste cose. Riccardo malato di cancro! Non l’avrei pensato, sembrava stesse benissimo!
– Sì, immagino. Con termini poco scientifici ma efficaci il patologo che ha eseguito l’autopsia ha definito la situazione “disastrosa”. Secondo lui senza terapie suo fratello sarebbe morto in pochissimo tempo, forse addirittura qualche settimana. Il fegato era molto compromesso e le metastasi encefaliche avrebbero portato rapidamente a sintomi gravi.
– Dio mio. Stava morendo e lo sapeva!
Gli si spense la voce. Il magistrato deviò lo sguardo.
– Sì, questa era la situazione. Guardi, mi dispiace. Ecco perché non ho ancora chiamato sua cognata. Anche lei non lo sapeva. Anzi, non lo sa. Ho avuto la sensazione che suo fratello abbia scelto di vivere gli ultimi mesi serenamente, senza coinvolgere la famiglia. Un amico medico mi ha confermato che con quella diffusione il tumore non sarebbe mai guarito.
– Avrebbe potuto dirmelo.
– In ospedale abbiamo avuto prove evidenti che sapesse della malattia da qualche settimana. Non ha autorizzato la comunicazione ai parenti, vede questo? Legga. Secondo me ha scelto di non curarsi e non darvi l’angoscia di aspettare la morte con lui. Tanto con le cure non avrebbe risolto la situazione: non definitivamente, almeno. Ovviamente queste ultime considerazioni sono personali: è possibile che attendesse un momento particolare per parlarvene. Non lo sapremo mai.
Rabbrividì. L’avevano ammazzato ma sarebbe morto comunque. Il magistrato gli chiese se tutto fosse a posto, allungò un braccio verso di lui.
– Mi scusi. Sto benissimo, è solo che non mi aspettavo questo. Stanno capitando cose che mi sconvolgono. Non dovrebbe cambiare granché, immagino, eppure scoprire che stesse morendo di cancro è… Non so.
– Già. Il problema per noi è che queste informazioni non hanno un nesso con l’attentato. O meglio ne hanno uno molto evidente: nessuno sapeva della malattia, chi ha organizzato l’agguato non sospettava di uccidere un uomo che sarebbe morto di lì a qualche settimana.
– E’ vero. Se neanche noi sapevamo del cancro significa che aveva taciuto con tutti. Però. Malattia a parte, ci sono elementi che riguardano gli aggressori?
– Qualcuno sì, ma preferisco aspettare. Piuttosto vorrei che mi chiarisse di nuovo quanti telecomandi esistevano per il cancello.
– Quattro. I possessori erano Riccardo, la scorta, Gianna e io.
– Lei mi ha mostrato il suo telecomando. Sua cognata ha ancora il suo?
– Sì.
– Il telecomando della scorta è stato trovato sul luogo dell’attentato. Ne manca uno.
– Quello di Riccardo.
– Esatto. In casa non è stato trovato, in studio nemmeno. Non era sul corpo. Non sappiamo dove lo tenesse e le persone che frequentavano suo fratello a vario titolo, da noi ascoltate, dicono di non avere la minima idea.
– Non mi risulta che l’avesse perso. E’ vero che se fosse successo avrebbe potuto usare quello della scorta, ma è improbabile. Quale rilevanza ha?
– Enorme. Gli attentatori sono entrati dal cancello: nessuno ha scavalcato le recinzioni del giardino, nessuno ha forzato il cancello che aveva sistemi di chiusura complicati. I quattro uomini sono entrati dal cancello nelle prime ore del mattino e hanno atteso l’uscita di suo fratello. Dopo la strage sono usciti e si sono allontanati in automobile.
– Un momento. Sta dicendo che quattro attentatori hanno tranquillamente aperto il cancello, si sono appostati in giardino e l’hanno aspettato?
– Sì. Pensiamo sia stato così.
– E’ sicuro che fossero quattro?
– Sì. Tre hanno sparato e uno ha sequestrato temporaneamente la signora Conti. Credo che una quinta persona fosse alla guida della macchina che ha prelevato gli attentatori, una monovolume che è stata vista partire di volata e abbiamo ritrovato giorni dopo dalle parti di Latina.
– Vi ha aiutato?
– La macchina? Come al solito, cioè no.
– Ma scusi, è improbabile che quattro persone passino per il cancello usando il telecomando ed evitino di entrare in casa per ucciderlo durante la notte, senza l’ingombro della scorta! Perché aspettare i due poveracci e ammazzare anche loro? In casa c’erano Gianna e Riccardo, avrebbero potuto forzare la porta o una finestra e uccidere Riccardo.
– Questo è uno dei punti più critici, non ce lo spieghiamo. E’ possibile che la criminalità organizzata abbia voluto dare risalto all’attentato con un’azione plateale e, trovandosi per qualche ragione con il telecomando a disposizione, abbia fatto entrare i sicari nel giardino durante la notte. Ma ci voleva la scorta per creare la strage. Se avessero ammazzato la moglie avrebbero violato un codice, per di più a Roma e con la moglie che è medico e lavora con un luminare come Voltri.
– E’ da pazzi. Senta, questa cosa è folle.
– Nella nostra attività abbiamo visto cose che non potrei descriverle, dottor Conti. Dobbiamo ancora capire, ma è plausibile che il telecomando sia stato un comodissimo metodo di accesso alla villa: Riccardo non dovesse essere ucciso in sordina, nel letto di casa sua. Ammesso che un omicidio in casa possa definirsi in sordina.
– Sono entrati dal cancello e hanno aspettato. Se non fosse tragico sarebbe banale.
– L’attentato è stato semplice, l’unico rischio era che l’apertura e chiusura del cancello venissero udite da suo fratello oppure dalla moglie.
– Strano. Il cancello dalla casa si sente.
– Altro punto molto critico. Devo verificare con la signora Conti. L’ulteriore complicazione è che suo fratello non avrebbe permesso che la sparizione del telecomando passasse inosservata. A meno che…
– A meno che?
– A meno che la malattia non l’abbia spinto a essere meno attento. Un uomo che sa di essere gravemente ammalato non focalizza l’attenzione sulla vita di tutti i giorni. Pensa ad altro, cambia priorità. In fondo l’attenzione alla sicurezza avrebbe potuto diventare relativa, le metastasi encefaliche avrebbero potuto cambiare la sua personalità.
– Forse è così. Anzi, è sicuramente così perché altre spiegazioni non esistono.
– Vedremo. Chiamerò sua cognata. Ora potrà rispondere ad alcune domande importanti. La sua testimonianza è fondamentale, abbiamo dovuto attendere troppo prima di averla. Ho voluto vedere prima lei perché così forse possiamo attenuare almeno lo shock della malattia: poiché non mi sembra rilevante ai fini dell’audizione della signora Conti, penso possa dirglielo lei.
– Altro che shock, è un medico. Proprio oggi mi rassicurava dicendo che niente dell’autopsia avrebbe potuto stupirmi, Riccardo è stato ammazzato e basta. Glielo dico stasera.
– E domani sarà chiamata. E’ l’unica testimone oculare. Lei si è fatto raccontare qualcosa?
– Sono stato sul punto di farlo, non ho avuto il coraggio. Sono giorni confusi… Poi mi pare che si stia riprendendo e mi manca il coraggio di rituffarla nei ricordi. Temo che la notizia della malattia la turberà molto: non ne sapeva niente.
Forti controllò l’orologio.
– La ringrazio. Credo che ci sentiremo presto, dottor Conti.
Uscì in fretta, salì in macchina. Telefonò a casa con un senso vago di apprensione: parlò con Chiara e le spiegò che avrebbe fatto tardi, ancora. Poi si mise comodo e provò a distrarsi: per fortuna non era stata Valeria a rispondere.

© MariaGiovanna Luini, 2016

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