DoctorWriter [20] di MariaGiovanna Luini

foto di MariaGiovanna Luini
foto di MariaGiovanna Luini

IL ROMANZO DEL MAGISTRATO

Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.

Capitolo 10

Era arrivato il momento di sistemare gli armadi, impregnati di odore vecchio e ricordi inutili: togliere i vestiti di Riccardo avrebbe ricreato uno spazio e sbloccato l’energia stagnante, l’aria avrebbe potuto circolare e l’oppressione forse si sarebbe sciolta.
Il vuoto crea un nuovo pieno: quando Gianna si accorgeva di avere accumulato oggetti il cui uso era nullo dedicava intere giornate alla pulizia e toglieva, spostava, donava a chi avrebbe potuto rendere viva la roba che per lei era solo un acquisto sbagliato o un ingombro che a lungo non aveva osato togliere. Voleva tirare via da casa i vestiti di Riccardo: era morto, non aveva bisogno del guardaroba e trattenere il suo odore, la sua impronta, la forma conservandone gli abiti era un’abitudine patologica che andava stroncata mentre ne aveva il coraggio. E quel giorno pioveva, la pioggia era adatta.
In camera da letto spalancò gli armadi: ferma, provò a osservare i vestiti uno a uno. Dicevano poco, erano pezzi di stoffa pregiata cuciti insieme: assumevano contorni solo se ci infilava i ricordi. Non doveva farlo, non poteva: richiamò la metà di lei che da tanto tempo lavorava come chirurgo, invocò l’equilibrio e la visione distaccata necessari per operare un corpo senza perdere la calma. Immaginò di distendere il braccio destro di lato: “Bisturi!”. Non era giusto che esistessero persone prive dei vestiti e del necessario per sopravvivere quando lei custodiva negli armadi ciò che era appartenuto a un uomo che era puro spirito. Ma lo era davvero, poi? Aveva provato a richiamare la visione di suo marito, arrabbiata e triste per le rivelazioni su Elena e Valeria, ma non era riuscita a ottenere altro che impressioni e un feroce pizzicore sulla pelle che le aveva tolto il sonno. A tratti la scuotevano brividi freddi inspiegabili: la casa era calda e non aveva febbre, eppure era colta da questi brividi che le facevano battere i denti e non passavano neanche se si copriva con un pullover di lana pesante. Le parole che raramente le sembrava di ascoltare (“Scusami, scusami, scusami”) erano il prodotto della razionalità, era ovvio: era tanto sicura che la luce apparsa dietro Giuliano in giardino fosse reale e non un parto del dolore e di una fantasia che nemmeno la professione chirurgica era riuscita ad addormentare?
– Comunque se fossi qui ti ucciderei a sberle, stronzo.
Si augurò che il pensiero muto lo raggiungesse da qualche parte. Odiare un uomo che amava così tanto e che era morto davanti ai suoi occhi era l’orrore di quei momenti: amava questo odio e odiava l’amore che ancora la legava a lui. Riccardo aveva pagato, avrebbe dato qualsiasi cosa per salvarlo dall’attentato, eppure sentiva – questo si sentiva forte, in effetti – che avrebbe dovuto urlare la sua rabbia e insultarlo fino a esaurire le forze prima di perdonarlo e lasciare che la vita andasse avanti.
Aveva preparato alcune scatole di cartone, stabilì di suddividere i vestiti immaginando che Giuliano indossasse o meno ciò che riponeva: avrebbe accettato qualcosa per ragione affettiva o, tutto sommato, per cortesia nei suoi confronti. La notte precedente aveva gettato via i regali che Valeria aveva fatto a Riccardo (quelli che riconosceva): i resti slabbrati di due giacche giacevano sulla moquette. Chissà quanto altro era il frutto dalla relazione tra loro, avrebbe controllato ogni stanza per fare piazza pulita. Si piegò sulle ginocchia, per l’ennesima volta colpita dal dolore: le immagini dell’attentato erano interrotte da flash improvvisi nei quali Riccardo baciava Valeria, rideva di gioia alla notizia della paternità, la stringeva nel segreto di un angolo a un pranzo di Natale. Riccardo gemeva di piacere nel corpo di lei e le chiedeva di continuare, di essere ancora sua. Un’altra volta.
Avevano certo fatto l’amore anche lì in casa, nel loro letto. Sentiva la presenza del loro piacere, aveva colto il sentimento che li aveva uniti ricostruendo episodi e sequenze che erano apparsi vividi, logici, naturali. Non avrebbero rinunciato a una notte insieme: si amavano, avevano avuto una figlia. La sua mente creava ciò che gli occhi non avevano visto, gli occhi rivedevano ciò che la mente non avrebbe saputo immaginare. Sapeva: nel silenzio germogliato dopo gli spari contro Riccardo, Fabrizio e Luca un istinto si era acceso. Non avrebbe potuto definirlo, era probabile che fosse indice di un pericoloso rischio di follia ma sapeva senza la necessità di prove o verifiche, le calavano dentro certezze come se una voce autorevole al di là dell’umano le suggerisse.
Riccardo e Valeria si erano amati. Dopo l’attentato Valeria aveva osservato le macchie sulle lenzuola, rassettato rabbiosa e posato il libro di Riccardo sul comodino in una posizione obliqua che nessuno avrebbe potuto conoscere se non una donna che avesse dormito con lui. Non riusciva a farne a meno: riandava al passato e finalmente aveva la sensazione di comprenderlo, nel modo peggiore.
Sedette sulla moquette con mucchi di vestiti intorno, incrociò le gambe e osservò i maglioni. Ecco, si gonfiavano di ricordi e non erano più ammassi di lana o cotone. Riccardo amava sistemarli rispettando le diverse gradazioni di colore. Ne cercò il profumo, strofinò sul volto una maglia verde che era stata il regalo per il primo anniversario di matrimonio: l’aveva indossata l’ultima volta a febbraio per la sua festa di compleanno. “Tanti auguri, amore, ti ricordi quando mi hai regalato questo?”, e l’aveva baciata. Le sembrò di sentirlo davvero, il suo bacio, come la notte prima dell’attentato. Quella notte era stata l’addio e la negazione di ogni tradimento, ma anche un mistero: un sesso così appassionato tra loro era raro. Perché l’aveva voluta così?
– Pensa, pensa. Ci sei.
La voce era stata chiara, voltò la testa a sinistra perché sembrava che fosse arrivata da lì: chi aveva parlato? Respirò a fondo due, tre volte: stava impazzendo o le percezioni stavano evolvendo in modo impressionante e del tutto inatteso? Era convinta che esistesse una forma di vita oltre la morte fisica ma non era mai andata più in là di qualche impressione e di “segni” che altri più razionali di lei avevano definto casuali: oggetto fuori posto, coincidenze, sogni. E i dialoghi con i morti da bambina, certo, ma da adulta aveva creduto fossero il frutto di una fantasia emotivamente ipertrofica. Ora aveva sentito con chiarezza una voce nella stanza e giorni prima aveva visto Riccardo in giardino. Aprì la bocca per dire qualcosa ma la voce non uscì.
– L’amore della notte. Io ti ho salutato così. Acoltami, Gianna: ho qualcosa da dirti. Ti amo, ascoltami.
Scosse la testa, affondò le mani nella lana del maglione verde: cosa doveva fare?
– Se sei tu fatti vedere, così non riesco. Ti prego, fatti vedere.
Alla sua richiesta muta nessuno rispose. Trascorse alcuni minuti immobile, accarezzando il maglione, e quando si decise a ritornare a ciò che stava facendo scoprì di non avere più coraggio: risistemò negli armadi quasi tutti i vestiti, poi ci ripensò e li tolse, li piegò nelle scatole per Giuliano.
A un tratto sentì aprirsi la porta di ingresso: non si era accorta dell’apertura del cancello. Era Giuliano, l’unico ad avere le chiavi. Dopo molto tempo lo vide entrare.
– Ehi, tesoro, ciao!
Camminava curvo, gli occhi increspati di stanchezza: forse non aveva dormito. Alzò il viso per ricevere un rapido bacio, lui lanciò uno sguardo fugace alle giacche distrutte in un angolo e sedette accanto a lei sul pavimento. Le sistemò una ciocca di capelli con le dita.
– Che cosa fai? Metti ordine negli armadi? Quelle due povere giacche sono regali della mia signora, vero? Troia. Me le ricordo, il gusto è il suo. Hai fatto bene. E cosa farai con questi?
Gli rispose spostando tre scatole piene verso di lui.
– Vuoi che li prenda io?
Esitava, toccò il tessuto.
– Come vuoi, li prendo ma non so se li userò. Non so descriverti cosa stia succedendo a casa. Non riesco più a concepire di avere Valeria accanto, non posso sfiorarla nemmeno per caso. Ho provato a dormire con lei, e intendo proprio dormire e niente altro, ma alla fine ho scelto il divano del mio studio. Guarda, non è il tradimento in sé, mi ha tradito altre volte e questo non ha turbato più di tanto il menage. Sono stato infedele, e anche lei: è una donna passionale e quando si annoia puoi essere sicuro che cercherà il modo per vivere emozioni forti. Comunque non è il tradimento in sé, è per Riccardo. Per il gigantesco schifo che mi fa pensare che mia moglie e mio fratello abbiano avuto una relazione. E anche Elena, mi corre incontro per giocare ogni volta che ritorno a casa, è la solita Elena che non ha ancora capito che lo zio Riccardo non c’è più e mi chiede quando andrà a trovarla. Mi fa male pensare di dirle che è morto, tanto più adesso che so che era suo padre. Ma è la mia Elena, mia, capisci?
Capiva. Da punti di vista uguali e diversi ritornava sui medesimi pensieri, si torturava nello stesso modo. Spinse verso di lui il primo maglione che poté afferrare.
– Sì, ho capito. Lo prendo, grazie, ma non chiedermi di indossarlo. Non a breve. Tra un po’ ne riparleremo, se sarai d’accordo potremo dare qualcosa a Gennaro per la sua famiglia e per gli amici che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese: mi racconta certe cose… Dai, ti aiuto e fai più in fretta.
Gianna provò a sorridere, una stanchezza pesante le era caduta addosso all’improvviso.
– Prima di salire da te ho guardato la cucina. Hai mangiato quello yogurt per colazione? Per la cronaca, era scaduto da mesi. Hai mangiato altro?
Non si mosse, non aveva importanza.
– Ieri sera quando sono venuto qui non hai voluto che mangiassimo e francamente neppure io avevo voglia di pensare alla cena, però dovresti essere più attenta.
Non alzò lo sguardo.
– Accidenti! Capisco che l’ultimo pensiero sia quello di mangiare, ma stai dimagrendo. Dovresti mantenere una certa disciplina alimentare!
Disciplina alimentare. Con il disfacimento della loro vita pensava alla disciplina alimentare. Si limitò a fissarlo. I contorni del suo viso erano sfuocati, le tremavano le mani. Giuliano prese un maglione da una scatola e ne accarezzò la trama, poi si sdraiò sulla moquette usandolo come cuscino. La pioggia martellava il giardino con un rumore monotono e sordo.
– A volte in azienda se voglio staccare la mente dai problemi mi metto a fissare il soffitto. La notte scorsa ci ho provato e riprovato, ma ero confuso. Mi manca Riccardo, eppure lo odio. A lungo ho sospettato che avesse una relazione con mia moglie, era evidente ma mi sono illuso che fosse impossibile. Anche tu e io abbiamo un rapporto speciale, ma non siamo amanti.
La guardò fisso un po’ stupita, qualcosa nel tono della voce la turbava e in sottofondo aveva avuto la sensazione che ci fosse la voce di Riccardo: un piccola risata bonaria e piena di ironia.
– Vero, Gianna? Noi non l’abbiamo fatto. Non siamo mai stati amanti. Centinaia di volte avremmo avuto l’opportunità e, da parte mia, la voglia di andare a letto insieme o scambiarci un bacio. Ma era impensabile, lo è anche adesso che siamo soli e disperati. Credevo che anche per loro ci fosse una specie di divieto implicito. Da bambini ci eravamo giurati amicizia eterna più di una volta e quando mi sono sposato ha promesso che sarebbe sempre stato l’appoggio più valido, la presenza costante. Lo stesso ho fatto con lui, e ho mantenuto la promessa. Lui invece mi ha tradito.
Prese fiato, le toccò una gamba e la strinse, poi ritirò la mano.
– Sai, non è per Valeria: il matrimonio non va bene per decine di ragioni e questa è solo la conferma della crisi. Mi ha tradito altre volte, non mi aspetto granché. Anche io l’ho tradita, non penso le importi: mi controlla per il senso di possesso, non per amore. E’ una donna estrema nei sentimenti e nelle passioni, sa essere meravigliosa e buona e tra l’altro credo che ti voglia bene, ma da tempo non riesco più a trovare affascinante la sua enfasi nell’affrontare la vita. Non la amo più, e lei non ama me. L’amore finisce, è una realtà da accettare. E’ Riccardo, è lui che non riesco a perdonare. Non posso credere che ciò che abbiamo sentito da Giuseppe sia vero. Eppure le prove erano davanti a noi da anni. Come abbiamo potuto essere ciechi? Hai guardato Elena? Assomiglia a mio fratello, non a me, e non ci siamo accorti. Sembra che abbia perfino lo stesso carattere irascibile, istintivo, passionale, il contrario rispetto al mio. Quando decide una cosa non la smuovi, esattamente come lui. Mi sono venuti in mente talmente tanti episodi che avrebbero dovuto farci riflettere che mi sono vergognato. Riccardo non avrebbe dovuto fare una cosa del genere proprio a me.
Si coprì gli occhi con le mani.
– Ho provato a strappare una sua fotografia che tenevo sulla scrivania. Non ne sono stato capace: l’ho presa e ho iniziato a strapparla ma mentre lo facevo ho guardato i suoi occhi, l’ho rivisto morto, steso sotto il lenzuolo, massacrato. Non ho più odiato lui, ma chi l’ha ucciso. Avrei voluto chiedergli perdono per la rabbia che avevo provato fino a un minuto prima. Sono pazzo, ormai non ragiono più.
Rise, scosso da singhiozzi: c’era il pianto, e c’era rabbia.
– Pensa che un paio di volte mi sono sentito in colpa perché mi aveva rinfacciato il rapporto di intimità con te. Mi sono torturato con autoanalisi per capire se qualcosa nel mio comportamento fosse stato poco rispettoso oppure equivoco. Mi sono imposto di non parlarti e fingere che non esistessi, per evitare ogni dubbio. E loro andavano a letto insieme! Che stronzi!
Gianna distolse lo sguardo, Giuliano alzò la voce.
– Lo capisci? Andavano a letto insieme! Noi lavoravamo, andavamo in vacanza, passavamo i fine settimana qui oppure là e loro erano amanti! Forse si baciavano quando non guardavamo, approfittavano delle nostre gite in barca per scopare! Mi sono ricordato tutte le volte che tu e io siamo stati in barca insieme lasciandoli soli in casa al mare: erano contenti per noi, perché ce ne andavamo in giro in barca! Non osavo fissarti in costume da bagno perché rischiavo di desiderarti, stavo attento a prevenire l’eventuale attrazione, nuotavo a un metro da te per non sfiorarti. Mi è capitato più di una volta di ritornare dalle nostre gite e fare l’amore con mia moglie e sono sicuro, sicurissimo che l’avesse appena fatto anche con mio fratello. Puttana! Quando quei due facevano l’amore con noi ripetevano gli stessi gesti che si erano scambiati poco prima! Bastardi, stronzi senza ritegno!
Si mise a sedere, rosso in viso. Scagliò il maglione contro il muro.
– Quando è nata Elena ero a New York e ho ringraziato Riccardo in ospedale. Ero commosso, aveva assistito al parto cercando di compensare la mia colpevole assenza. Ero geloso perché aveva tenuto in braccio mia figlia prima di me. Ed era sua figlia! Cazzo!
Si alzò in piedi, camminava per la stanza dando calci a niente.
– Hanno buttato via la mia vita e non so come riprenderla. Hai capito? Non so più da che parte riprendermela!
Gianna ringraziò l’assenza della voce: mentre lo seguiva nel suo sfogo disperato non poteva fare a meno di notare, con uno sbigottimento simile al terrore, la figura luminosa di Riccardo che teneva una mano sulla schiena del fratello e lo avvolgeva con uno sguardo di perfetto, indicibile e sovrumano amore.

© MariaGiovanna Luini, 2016

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