DoctorWriter [14] di MariaGiovanna Luini

foto di MariaGiovanna Luini
foto di MariaGiovanna Luini

IL ROMANZO DEL MAGISTRATO

Questa pubblicazione a puntate scioglie un destino. E’ il primo romanzo che ho scritto, il romanzo che chi mi conosce aspetta che sia pubblicato perché – pare – la trama piace. Il romanzo finora bloccato: qualcosa si mette sempre in mezzo. E’ ora che queste parole escano e si lascino leggere.
Quando esiste un blocco, Luce ed Energia lo forzano e dissolvono le ostruzioni. Uso quindi Luce ed Energia e dono “il romanzo del magistrato” a puntate ai miei lettori in Sdiario.
E il blocco si scioglie, voilà.

CAPITOLO 4

Giuliano fece vagare lo sguardo cercando qualche elemento noto, familiare: aveva bisogno di un punto di riferimento, doveva riconoscere il mondo dopo l’esplosione che lo aveva disintegrato. Poco oltre la porta osservò il mobile cinese, la lampada a stelo lungo e l’attaccapanni nell’angolo, sul pavimento la raffigurazione di un buddha in pietra: il corridoio sapeva di fumo e si apriva a sinistra nel soggiorno pieno di gente. A destra una stanza con due divani e tavoli bassi e un televisore enorme appeso alla parete: Carabinieri e persone in abiti civili controllavano il parquet, i muri, i mobili, perfino le tende. Seguì Valeria in cucina.
– Che caos.
– Sì, sono arrivati come fulmini. Le sirene e, in pochi secondi, le macchine e le persone. Non ho capito più niente.
Sedettero uno di fronte all’altra ma Valeria si rialzò subito.
– Dici che posso togliere le tazze della colazione? Vorranno controllare anche qui?
– Non ne ho idea, ma stai seduta un momento. Pulire la cucina non mi sembra prioritario.
– Non sarà prioritario ma ho bisogno di fare qualcosa, non riesco a stare ferma ad aspettare. Aspettare non so cosa, poi!
– Non possiamo fare niente, lasciamoli lavorare. E’ bene restare qui, forse vogliono domandarci qualcosa; sai, il maresciallo che c’è in giardino, o il magistrato, che non ho capito chi sia. Vedremo. Dai, dimmi come stai.
– Perché hai voluto guardarlo sotto il lenzuolo?
– Cosa dovevo fare? E’ Riccardo.
– Già, è Riccardo. Non me lo leverò mai più dalla testa così come è adesso. Quei bastardi l’hanno massacrato. Figli di puttana, avrebbero potuto farlo morire in cento altri modi invece l’hanno ucciso in giardino e l’hanno fatto soffrire. Hai visto l’occhio? Ma ci pensi a quanto male gli hanno fatto? Devono morire come lui, anzi peggio: devono morire lentamente, urlando e chiedendo pietà.
– Devono chi, Valeria?
– Non lo so. Li troveranno. La mafia o quello che è, li devono trovare.
– Beata te che ci credi.
– Rinunci sempre a priori, lui non l’avrebbe fatto. Lui era…
La bloccò con un gesto.
– Lascia stare, ho capito. Lui è coraggioso, fiero e aggressivo e io sono passivo, controllato e noioso. Lascia stare, per favore, non è proprio il momento.
– Notte scorsa hanno scopato.
– Chi?
– Riccardo e lei. L’ho accompagnata in camera, il letto era… Beh, si capiva. Per quanto sembri assurdo (almeno a me), quei due scopavano.
– E allora? Cosa c’entra adesso?
– Niente, non credevo che lo facessero. Lui non è fatto per lei.
Accolse le parole in silenzio: doveva essere sconvolta altrimenti non le avrebbe mai pronunciate. Si sarebbe pentita, ne era certo. Attese un tempo ragionevole prima di cambiare discorso.
– Elena sarà sveglia. Come facciamo? A parte la tata, qualcuno deve andare a vederla.
– Ho telefonato, è tranquilla: per fortuna almeno con lei possiamo mentire, non le diremo niente finché proprio non saremo obbligati. Invece non ho avvisato Chiara a scuola, non so come dirglielo. Ho pensato che potresti farlo tu, uno di noi deve andare e parlarle. Speriamo che a nessuno venga in mente di mandarle messaggini o roba simile, a scuola hanno l’obbligo di tenere spenti i telefoni ma non credo che lo facciano davvero.
– Mentre entravo ho chiesto a Gennaro di telefonare al preside. Toglie a Chiara il telefono con una scusa e la porta in presidenza. Ci vado io.
La vide voltarsi di tre quarti e prendere le tazze dal tavolo, poi rimetterle di nuovo dove le aveva trovate. Sbuffò, tolse dal frigorifero una bottiglia di acqua e riempì due bicchieri. Gli porse il bicchiere e si spostò, schivando una carezza. Poi ci ripensò e ritornò indietro. Si avvicinò, gli passò una mano tra i capelli.
– Scusami, è che non so affrontare la cosa. Faccio quello che mi riesce. Come stai?
– Stare peggio sarebbe difficile.
– Vuoi che telefoni alla tua segretaria?
– Per dirle che cosa?
– Per spiegarle cosa è successo, prendere i messaggi. Non so.
– Non serve, ha telefonato Gennaro e tra un po’ chiamerò io.
– Cosa posso fare per te?
Chiuse gli occhi.
– Un’altra carezza.
La mano di Valeria lo sfiorò, poi la sentì staccarsi. Senza più dolcezza raddrizzò la schiena e andò a sedersi di fronte a lui.
– Chi è stato secondo te?
– Non so. Non riesco a pensare. Faccio fatica a ricordare i dettagli di Riccardo, del suo volto, ciò che raccontava. Non so neanche se abbia mai detto qualcosa del suo lavoro, è incredibile! Come se non l’avessi mai conosciuto!
– E’ normale, credo. Ci ho pensato tante volte, sapevo che rischiava ma mi ero illusa che non succedesse. Anche i due poveri ragazzi, non riesco a guardarli là per terra: qualcuno ha avvisato le famiglie?
– Radio e televisione non parlano d’altro, ormai lo sanno tutti.
Ormai lo sanno tutti. Un sapore rancido risalì nella gola e gli avvelenò la lingua: la notizia della morte di Riccardo stava diventando ogni minuto più irrimediabile, vera. Bocca dopo bocca, comunicato dopo comunicato, lacrima dopo lacrima il mondo si stava ridisegnando intorno all’assenza: Riccardo Conti non esisteva più e il povero corpo maciullato si sarebbe decomposto senza lasciare tracce nel giro di alcune settimane. Niente Riccardo, niente più ragazzi della scorta: come se non fossero esistiti.
Valeria parlò, gli occhi nel vuoto.
– Mi ha telefonato qualcuno, non so chi. Credo uno dei vicini. Non ho capito cosa dicesse, mi sono spaventata e sono arrivata di corsa.
Chinò la testa.
– Il cancello era aperto, una scena spaventosa. Le sirene. Non so chi sia arrivato per primo, non me lo ricordo. L’automobile di Riccardo era l’unica cosa reale, per me. I corpi per terra, Gianna come una statua in ginocchio vicino a lui distrutto e pieno di sangue. Un orrore!
– A proposito, Gianna! Non l’ho vista, dov’è?
– E’ di sopra, l’ho accompagnata in bagno e credo stia riposando. Non dice una parola. Non devi preoccuparti per lei.
– Certo che mi preoccupo!
Valeria si alzò, di nuovo afferrò le tazze sul tavolo.
– Senti, io le sposto. Qualcuno deve mettere ordine qui dentro. Nessuno avrà da ridire, c’è stato solo Riccardo a fare colazione. Sì, ovviamente anche Gianna, ma cosa vuoi che sia successo. In fondo le indagini in casa sono inutili, è tanto per fare vedere che sono precisi e controllano.
Aprì l’acqua e regolò il miscelatore.
– Sono arrivate telefonate, chissà quante persone ti stanno cercando. Forse dovresti chiedere alla segretaria di rispondere per te.
Non ottenne risposta. Giuliano non era più in cucina.

(Continua…)

© MariaGiovanna Luini, 2015

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