Il tocco che io cerco di Elena Mearini

Poco più di una carezza,
anche meno di un bacio.
Non so quale nome abbia
il tocco che io inseguo.

Ci ritroviamo spesso a cercare qualcosa a cui non sappiamo dare un nome.
Qualcosa che forse un nome non l’ha mai avuto perché nessuno ha pensato di volerlo un giorno chiamare.
Del resto, a chi potrebbe venire in mente di battezzare un vuoto, di registrare un’assenza su un documento e darle pieno diritto di esistere, con la concessione di un posto nel mondo e magari l’assegnazione di un domicilio rintracciabile, così verrebbe facile trovarlo in caso di bisogno.
Mi piacerebbe uscire di casa, salire in auto, digitare sul navigatore l’indirizzo di quel qualcosa che saprei con quale nome chiamare e raggiungerlo, certa di percorrere la giusta strada.
Una volta arrivata, busserei alla sua porta e mi lascerei andare, cadere tra le sue braccia con il tuffo del sasso nell’acqua, che tutto il peso della mia storia affondi nella sua presa. Sarebbe l’abbraccio lento che non vuole passare? La stretta forte di un giorno che si ferma? Oppure, quel qualcosa che non so leverebbe di scatto le braccia lasciandomi cadere ancora e ancora, in un precipizio a cui soltanto io potrei mettere fine, magari strofinandomi gli occhi come si fa dopo un sogno.
E se così fosse, avrei una certezza nuova.
Ho capito, direi, è questo è il tocco che io cerco.
Quello delle mie mani sopra gli occhi.

©Elena Mearini, 2019

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *