Corteggiamenti [9] di Alessandro Morbidelli

 

©foto di Alssandro Morbidelli
©foto di Alssandro Morbidelli

Leda

Mi sveglio la mattina e sorrido. C’è chi dice che sia l’atteggiamento dello stolto, di chi non sa cosa davvero l’aspetti fuori. No, no… io conosco quello che mi aspetta. Eppure mi alzo e sorrido perché penso a quello che ho. E ho un sacco di cose. Vedi, per esempio, Leda, ho te. Sì, va bene, noi due non staremo mai insieme. Ci sono un sacco di motivi. Me l’hai detto mille volte e lì, accanto a me, la mattina, quando affondo il volto nel cuscino, quando allungo le braccia a toccare il muro o quando striscio le gambe sul materasso, c’è solo un cane, non ci sei mica tu. C’è l’erezione, spesso, ma Massimo Mongai mi ha detto che è una questione di pressione. C’era un sacco di gente, un convegno sulla scrittura di genere. Questa rivelazione, arrivata non ricordo più perché o come, mi fece davvero male. Io, che quando mi svegliavo con lui sull’attenti, pensavo a chissà quale sogno me l’avesse stuzzicato. Mongai, mannaggia a te, che ti voglio pure un sacco bene, mi dici di non illudermi troppo sui retaggi erotici dei sogni, ché “è tutta una questione di pressione”, lì si ferma un sacco di sangue.

Quanto vorrei non averla mai sentita, questa verità. Non riesco più a togliermela dalla testa. È come il cigno bianco del Parco Primo Maggio, quand’ero bambino. Avrò avuto quattro anni, forse anche meno. I miei mi portarono in riva al laghetto e quando vidi il cigno bianco rimasi a bocca aperta di fronte a tanta bellezza. Dissi tra me e me che non l’avrei dimenticato mai. Così, oggi, a distanza di un sacco di anni, ogni volta che qualcuno mi dice ehi, ricordatelo eh! oppure ehi, non dimenticartene, eh! (dalle mie parti si dicono un sacco di ehi e di eh e anche un sacco di un sacco) io ho di fronte agli occhi quell’elegante e lento fianco sinistro, placido sulle acque, con il collo ad apostrofo e la testa a fiocco. Anche se quello di cui devo ricordarmi è un semplice compra il pane. Ecco, io ho le lezioni di Mongai e anche il cigno bianco del Parco Primo Maggio. E ho te. Chissà quanto vive un cigno. Chissà se un cigno lo sa, che può vivere nella mente di un bambino che poi diventa uomo, per sempre. Più di una volta ho pensato che mi sarebbe piaciuto dirglielo: ehi, tu, cigno bianco, lo sai che non ti dimenticherò mai? Non potrò farlo, sei infinitamente dentro di me. Non c’è verso, eh!

Queste sono fortune che non vengono riservate solo ai cigni bianchi. Succede anche alle persone.

È successo a te.

Allora te lo dico, Leda: io mi sveglio la mattina e sorrido perché conosco quello che mi aspetta e penso a quello che ho. So che tu sei come il cigno bianco e non come la lezione sui cazzi dritti di Mongai. So che mi piacerebbe un sacco dirtelo, che non ti dimenticherò mai. E magari te lo dirò, la prossima volta che, così, per caso, ci incontreremo.

 

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