Corteggiamenti [21] di Alessandro Morbidelli

Nighthawks, di E.Hopper

 Nighthawks

La goccia arrivò proprio mentre ero lì.
Dentro Nighthawks di Edward Hopper.
Si infilò tra il collo e il colletto della mia giacca, riportandomi sul bordo in travertino del binario 3, stazione di Bologna.
Dov’ero prima, nell’altro mondo, seduto da Phillies a bere il mio whisky solitario, non c’era nessuno in strada, e io ero quello dipinto di spalle, quello senza donna rossa in abito rosso, quello che se ne fregava del tintinnio dei bicchieri che il barista irlandese riversava addosso al silenzio.
Almeno fino a quando quella goccia non volle sbirciare la via della mia schiena, lasciandomi un taglio d’acqua fredda su cui imprecare. In un istante sparì il cappello anni Trenta che avevo in testa al momento dell’arte. Le pennellate di Hopper si sciolsero lasciando svegli i contorni della realtà. Quasi mi dispiacque.
Io ero malinconico, anche se da lì a qualche ora sarei stato a una festa, in un locale di Senigallia. Il viaggio era il momento della mia consapevolezza imbambolata e assopita, il punto più alto delle mie potenzialità da uomo in fuga, sia all’andata che al ritorno. Viaggiavo spesso.
Arrivò la coincidenza da Milano e, come ogni volta, mi avvicinai alla riga gialla. Ormai conoscevo a memoria i tempi di frenata dell’Interregionale, la posizione delle carrozze di seconda classe e il punto esatto dove si sarebbero aperte le porte. La verità è che mi piaceva troppo immaginarmi come il Viaggiatore sopra il Mare di Nebbia di Friedrich, mentre salivo il primo gradino, circondato da Urli di Munch, tutti dietro di me. Anche quella volta salii per primo.
Trovare posto a sedere in carrozza era una speranza che non coltivavo. Eppure. Dei tre adiacenti all’ingresso, un tizio con un impermeabile color crema e la faccia di Van Gogh ne lasciò libero uno. Quasi mi travolse, biascicando un Madonna che rottura di coglioni. Mi fiondai. Sedersi significava viaggiare con la musica, con i libri. E con lei. Seduta lì accanto. Aveva il collo di un Modigliani.
Percorsi i primi chilometri verso sud mi resi conto che la ragazza, delle donne ritratte da Modigliani, aveva anche gli occhi. A spegnerli era stato il signore che avevamo davanti. Un uomo che poteva benissimo venire dalla Grande Guerra o essere nato qualche anno dopo mio padre.
Ha capito, signorina? Possiamo dire ciò che vogliamo, ma è inevitabile, le disse dopo qualche attimo di silenzio. Lei non rispose, si limitò ad annuire. Da Imola a Rimini il signore non fece altro che lasciarle frasi a mezz’aria. Vede, signorina, queste cose fanno più bene a lei che a me. E ancora, Gli strati vostri, oggi, sono fragili, basta poco per sgretolarli via, grattarli con un’unghia.
Avevo gli auricolari del walkman in mano e una cassetta con il Best of di Johnny Cash pronta.
Ma mi trattenni.
Verso Riccione l’uomo si alzò e andò in bagno.
Rimasti soli, la guardai e sorrisi. Allora sorrise pure lei. Non era il sorriso di una Gioconda.
Quel sorriso lì, nessuno l’aveva dipinto mai.
Le mostrai gli auricolari. Ne prendemmo uno a testa. Fu in quel momento che si tolse la pesante giacca a vento, aprendola a mo’ di coperta. Feci altrettanto con la mia giacca dal colletto bagnato. Nascondemmo sotto la nostra improvvisata trapunta il walkman scassato.
Ci prendemmo per mano.
La sua era fredda. Aveva dita lunghe e sottili. Di un Modigliani.
Ancora oggi mi chiedo da dove nacque quell’istinto, quel gesto così naturale.
Il signore tornò al suo posto, ma se ne restò in silenzio fino a Pesaro.
Noi intanto Hurt, God’s Gonna Cut You Down, e tra le altre, anche una versione di Personal Jesus.
Scese. Senza salutare.
Il treno ripartì e Johnny Cash iniziò a cantare We’ll meet again.
We’ll meet again / Don’t know where / Don’t know when…
La ragazza appoggiò la testa sulla mia spalla. E io sfiorai con lo zigomo i suoi capelli.
But I know / We’ll meet again / Some sunny day…
Da Fano in poi, costeggiammo il mare. Era scuro e cattivo. Lei strinse forte la mia mano.
Keep smilin’ thru / Just like you / Always do…
Quando il treno passò in mezzo alla raffineria, poco prima di Falconara Marittima, mi preparai a scendere. Stasera c’è una festa, a Senigallia, il locale si chiama così. Le dissi.
‘Til the blue skies drive / The dark clouds / Far away…
Sorrise, poi nascose la bocca sotto la giacca. Arrivammo alla stazione, scesi senza dire altro. Un semplice Ciao avrebbe rovinato tutto. Mi fermai a guardarla dal binario. E quando il treno ripartì ebbi la sensazione che non l’avrei mai più rivista. Anche se la corsa sarebbe finita alla stazione successiva e lei sarebbe dovuta scendere per forza, a pochi chilometri da lì. C’era il refolo della scintilla, nell’aria. Un brindisi alla possibilità, da celebrare come il Dio di tutte le cose.
Il treno si perse verso Ancona.
Fischiettai Johnny Cash nel sottopasso.
Quella sera andai alla festa.
A un certo punto mi sedetti al bancone e ordinai un whisky. Allora la barista dal sorriso stanco divenne un simpatico ometto irlandese vestito di bianco, con tanto di cappellino in testa. I ragazzi seduti accanto a me si raggrupparono in una coppia di cui lei, rossa col vestito rosso, sorrideva. Io, lì, avevo di nuovo il cappello. E fuori, una strada deserta. Aspettai. Nell’aria, Johnny Cash.
We’ll meet again / Don’t know where / Don’t know when…
Poi, all’ultimo sorso, quando tutti i miei amici se ne erano già andati, un tocco freddo dietro il collo, come la goccia alla stazione. Era la punta di un dito sottile. Il dito di un Modigliani.
Le pennellate di Hopper si sciolsero lasciando svegli i contorni della realtà.
Quasi mi dispiacque.

© Alessandro Morbidelli, 2015

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1 commento

  1. Con poche sapienti pennellate, morbidelli trasforma la casualitÀ DI UN INCONTRO IN UN’OPERA D’ARTE!

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