Non escludo sviluppi

Tunnel, foto di Katia Colica

NON ESCLUDO SVILUPPI

La mia vita potrebbe tranquillamente racchiudersi qui, dentro questa macchina a motore acceso, sbarrata grazie allo scatto della sicura. Qui ad aspettare che il colore del semaforo da giallo scatti in rosso e con la gente che suona dietro perché non è pensabile – con la fretta che c’è di fare cose – che ci si possa permettere perfino di fermarsi.
La verità è che col semaforo giallo io mi sento sereno, mi trovo a mio agio perché anche se dura il tempo di un attimo poi viene il rosso e col rosso si può rimanere immobili, se non per sempre almeno per un po’, senza l’affanno di scegliere la strada migliore da imboccare, quella giusta, senza troppe curve, senza troppo traffico, senza troppe buche. Insomma: a me piace il fatto di restare qui fermo e non scegliere. Sì.
Mi dicono tutti che non scegliere è già una scelta, loro, gli intellettuali della domenica, i filosofi delle vite altrui. Io invece, io che non scelgo, so perfettamente che queste sono solo enormi cazzate perché non è vero che scegliere è una scelta. Forse più che altro è un suicidio ma questo è un altro discorso.
Invece pensa come sarebbe bello se la vita fosse fatta di semafori rossi che ti autorizzano a fermarti almeno per un po’. Nessuno potrebbe dirti ma insomma muoviti, intralci la mia vita, mi condizioni il passaggio o cose di questo tipo, e anche se poi te le dice lo sai che in fondo tu hai tutto il sacrosanto diritto di rimanere immobile: è lui nel torto, insomma, e questo già potrebbe far stare bene. Potrebbe bastare a convincere gli altri che ognuno è artefice della propria di vita, che se io mi fermo basta fare il giro lungo e mi si evita. Io non trattengo nessuno con me. Fosse fatta, la vita, di semafori rossi allora sì che potrei vivere come vorrei.
Invece ho intralciato il passaggio a troppa gente senza averne il diritto. Ho impedito a mia madre di fare sogni su di me e sul mio futuro perché io vivo al passato e il presente lo brucio al calore della mia ansia; come una cartina. Ho impedito al mio amichetto di giocare insieme a me, da bambino, perché tra stare in attacco o stare in difesa ho preferito sempre la panchina per poter prendermi tutto il tempo necessario, valutare, stimare, capire ed eventualmente decidere quale ruolo fosse più indicato e dare il massimo senza troppe figure di merda. Ma poi siamo cresciuti e nessuno di noi ha più giocato a pallone.
Ho impedito di amarmi a quella che è stata per molto tempo la mia donna perché l’amore deve essere riconosciuto e io non riuscivo a decodificarne i segnali, le emozioni. Non capivo mai del tutto se quello che provavo era affezione, simpatia, sesso, malinconia, noia o soltanto amore.
Ho anche impedito a me stesso – a pensarci – di continuare a esserci per sempre. In quel modo lì bislacco che ha inventato la natura; quel modo anche un po’ banale e spassoso che utilizzano tutti: la riproduzione. Ma per fare un figlio ci vuole una splendida donna accanto unita a denaro, sicurezza e determinazione. E poi chi lo sa se saprei amarlo un figlio, dovrei prima capire se sarei in grado, se potrei farlo. E adesso che ne so, che ne posso sapere io.
Fatto sta che tutti questi fantasmi e altri ancora – forse meno importanti ma non meno invadenti – li immagino in coda dietro di me, una coda uguale alla fila di questo semaforo; con qualcuno che aveva suonato sul clacson per farmi affrettare, qualcun altro che aveva aspettato borbottando, pochi di loro che avevano sbraitato per farmi dare una mossa, anche una qualunque. Lei – e questo sì che me lo ricordo – lei che aveva persino spento il motore restando in silenzio ad aspettarmi, per un po’. Più di un po’.
Poi più nulla, poi è arrivata la vita che so.
E quindi adesso infilo la prima e mi muovo; con calma però: inutile suonare, potete morirci sopra i vostri clacson e dentro la vostra fretta di andare. Io, tanto, non mi agito mica. Infilo la prima e mi muovo, con cautela, prudenza, circospezione. E per la strada da prendere si vedrà, prima o poi si vedrà, ci ragionerò sopra, non escludo sviluppi. Non escludo mai nulla.

© Katia Colica, 2015

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