Amori di merda [22]

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PASSA PAROLA

Pensi che sia inutile, però intanto ci provi. Ogni tanto giri la testa verso la finestra e vedi il cielo oltre le tendine che ti ha messo tua figlia, e che non sono male. I ricami bianchi che le intarsiano sono adatti a una vecchia signora. Tu però non sei vecchia, solo il tuo corpo lo è. Tu hai ancora bene in mente la sensazione netta dei muscoli giovani e sani. Com’è saltare senza difficoltà un ostacolo piuttosto alto, allenarsi fianco a fianco con Claudio al campo di atletica. Facevi un giro in meno di lui, ti fermavi sfiancata e il sudore finiva in mezzo ai tuoi seni e brillava come un invito. Se chiudi gli occhi, quel ricordo è così potente che lo puoi toccare. Tu non sei diversa da come senti di essere, lo sai benissimo, anche se non puoi muoverti e non puoi parlare. Questo ti consola. Con tutta te stessa capisci il senso dell’esistenza, e in certi momenti sai che è uguale a zero. Al contrario, in qualche altra occasione ti pare sia infinito. E perciò è come se fosse zero, perché la vita che senti non puoi né viverla né contenerla tutta. Ma a te sta benissimo così: lo hai accettato. Ora comprendi sia la statica rassegnazione dei tuoi figli che l’elastica follia dei tuoi nipoti. E, visto che conosci tutto, riesci anche a sorriderne, guardando quel poco di cielo, quando ti girano verso la finestra, e lo fanno spesso. Il lunedì passa Chiara, la piccola. Entra, appoggia i libri in terra, si butta sulla poltrona, ti racconta la sua vita e spesso piange. Martedì e venerdì sono invece i giorni di Francesca, che arriva con Ugo, tempesta di domande la badante, entra ed esce come aria fresca, con quel profumo buono e i braccialetti che fanno tin tin. Giovedì si prendono tutti una pausa, qualcuno va in palestra, Ugo ha il suo corso di calligrafia. Domenica spesso arrivano insieme, portano i pacchetti della rosticceria che fanno un profumino, ti imboccano il pollo, ti fanno festa come si fa ai bambini. Tu sorridi, loro capiscono che hai capito. La tua vita è migliore che in passato, tutto sommato. Sono lontani, i tempi in cui soffrivi per amore. Ma te li ricordi come fossero carne viva. I tempi delle bugie. Durati per trenta anni. La vita è passata, nessuno ha mai saputo. E oggi è lunedì. Chiara entra e ti si getta tra le braccia. Odora di umidità, forse sono le lacrime. La sciarpa infatti è bagnata. Sei tesa, sono settimane che ti prepari. Da quando lui le ha detto che l’amava e che avrebbe lasciato sua moglie. Quando i bambini diventeranno un po’ più grandi. Un po’ più grandi, capisci nonna? Io non lo so cosa vuol dire, tu lo sai cosa vuole dire?

Chiara si stringe forte al tuo corpo scavato e secco. Senti il suo diaframma che si solleva a scatti per via dei singhiozzi. E allora prendi forza, provi a stringere i braccioli della poltrona, stringi gli occhi, cerchi nella tua testa un filo elettrico, pur sottile che sia. Qualcosa di posticcio, che duri almeno tre secondi, il tempo per ristabilire un contatto. E tua nipote sente che qualcosa sta accadendo, perché tira su la testa e ti guarda dritta negli occhi. Non ti vede bene tra le lacrime ma potrebbe giurare che la tua bocca si stia aprendo. E la tua bocca infatti si apre e dice “scappa”.

© Roberta Lepri, 2015

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1 commento

  1. già piangevo di mio oggi…meraviglioso! come sempre

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