La fusione delle anime è uno dei grandi temi de Il Gabbiano, una partitura incompiuta per anime che non si possono fondere. Medvedenko cercando di sedurre Masha prima dell’inizio dello spettacolo in riva al lago le sussurra che Kostja e Nina “sono innamorati e le loro anime oggi si fonderanno nell’ansia di creare un’unica immagine d’arte”.
La fusione delle anime dei due innamorati, che attraverso l’arte vogliono diventare una “cosa” sola, un unicum, è però segnata dall’ansia. Quest’ansia di fusione ricorda l’angst di Kiekegaard, quella malattia mortale di cui soffre anche Amleto. L’etimologia della parola tedesca angst (ansia o angoscia)può essere ricondotta alla radice semitica hnk, che in antico egizio significa angusto, stretto, mentre in siriaco significa catena, soffocamento. Da cui il verbo greco anchein (strangolare). Come se per Nina e Kostja la percezione del tempo fosse stretta dall’esigenza di fare (in russo delat) per progredire in fretta verso il futuro. L’ansia o angoscia è dunque una possibilità, la possibilità di essere investiti dalle cose prima di poterle determinare, vedere, codificare. Non c’è tempo da perdere quando si è stretti dall’ansia di vivere, di essere, di esistere agli occhi del mondo recitando nel teatrino imbastito in fretta. Il rapporto bisogno/soddisfazione scandisce le immagini del tempo: l’angoscia è quel tempo che si interpone tra il bisogno e il timore della sua mancata soddisfazione. In questo tempo l’ansia dilata il presente al di là del semplice esser-ci, al di là della percettibilità del presente stesso, della sua controllabilità; l’angoscia fa sporgere Medvedenko, che corteggia Masha, e Treplev, che corteggia Nina, nel territorio di una assenza immanente, che per la sua incontrollabilità risulta perturbante, l’assenza d’amore, terrifico fantasma che aleggia sul lago e che adesso in questo tempo prima del tempo i due uomini non riescono ancora a vedere.
Kostja appartiene alla sfera di skopos, vive nella dilatazione del presente verso il futuro. Cerchiamo di capire che cosa significa skopos. Come télos, anche la parola skopos rinvia al significato di fine, ma nel senso di bersaglio, di meta. Potremmo dire che lo scopo è quel fine che cessa nel momento stesso in cui è stato raggiunto, nello skopos non c’è ritorno, come nel télos, perché nel momento in cui lo si raggiunge, non solo lo scopo è compiuto, ma è anche radicalmente estinto, consumato. Inoltre, se il télos è un qualcosa di dato, un a-priori, lo skopos è qualcosa di voluto, frutto di una indagine di una scelta, di una elezione, di una intenzione. Il sostantivo greco skopos è infatti strettamente connesso al verbo sképtomai, che significa mi guardo intorno, considero, spio, ricerco, o anche ho cura di, bado a. Il nomen agentis skepticos implica i significati di colui che osserva, riflette, considera. Infine, il sostantivo skopos ha una serie di significati concreti e secondari: può significare sia colui che osserva e sorveglia, esploratore, sentinella, vedetta, osservatore, quanto l’oggetto su cui si fissano gli occhi, ovvero l’obiettivo, la meta, il bersaglio. Se la vita di Masha e Medvedenko è indirizzata verso la fine, in un continuo eterno ritorno di ciclicità che la ragazza combatte con la vodka e il tabacco e il maestro con l’assiduità dei suoi corteggiamenti respinti, la vita di Kostja e Nina è indirizzata verso il fine voluto e fortemente desiderato. Interessante sarà vedere che con ironia tragica la commedia proporrà un esito inverso: Masha e Medvedenko conseguiranno il fine non desiderato di un matrimonio senza amore, mentre Nina e Kostja, non conquisteranno il fine progettato saranno condannati inesorabilmente a perseguire la fine.
Nella commedia di Treplev, soltanto lo spirito sopravvive alla morte glaciale, il processo, che determina nel tempo un nuovo spazio: dove erano animali, creature viventi, ora vi è abissale vuoto. L’immanenza del nulla è spaventosa per l’anima dell’universo, unico “essere” che combatte contro il non essere. La memoria è l’unica arma contro il nulla, ricordare ogni cosa è la fonte di salvezza. Secondo Platone l’anima del mondo è un elemento stabile dell’universo in costante mutamento: “in sommo grado simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, indissolubile, sempre identico a sé medesimo.” Nel settimo secolo avanti Cristo in Grecia si afferma la corrente filosofica religiosa dell’orfismo. Fino ad allora, l’idea più diffusa era quella di un’anima del mondo, un’anima collettiva cui ciascun individuo prendeva parte. L’orfismo, nei suoi rituali mistici, introduce per la prima volta l’idea di un’anima individuale. Per la prima volta si afferma l’idea che esista un dentro e un fuori.
È la prima divisione del Logos, nei due significati a noi noti di parola e pensiero. Con l’anima individuale la parola diventa espressione del pensiero. La parola rappresenta fuori, ciò che ha origine dentro. E prorpio tramite le parole, Treplev cerca di ex-primere il proprio “dentro” evocando una immagine immanente come l’anima del mondo cui egli appartiene, che gli appartiene e che lo unisce agli altri esseri in una comunione che la vita quotidiana gli nega; l’immagine dell’anima del mondo lo unisce alla madre che fugge e a Nina che probabilmente non lo ama; attraverso la parola poetica del teatro, Treplev persegue dunque il sogno di unità simbiotica originale con la donna, come madre e come femmina, che è la fonte del suo dolore. Credo che in Treplev vi sia, oltre ad una influenza simbolista, una ispirazione romantica. Le parole della sua commedia ricordano il quinto Inno alla notte di Novalis, ascoltate: “L’anima del mondo è il segreto impulso delle cose, ciò che dona il senso, che organizza la molteplicità in unità, che consente di rendere visibile l’invisibile.” Con la metafora dell’anima del mondo Treplev cerca proprio di rendere “visibile l’invisibile”, di palesare attraverso gli spermatikoi logoi,le parole spermatiche del teatro, il proprio disperato amore; mediante la rappresentazione della commedia egli cerca di inseminare l’anima della madre, estremo atto d’amore di un non-amato.
Kostja sostiene che si debba rappresentare la vita “come appare nei sogni” e anche questo anelito intreccia il simbolismo di Maeterlinck con il romanticismo di Novalis, il quale sosteneva che l’anima del mondo dovette trovare un rifugio, non poté più restare nella luce con gli dei, gli uomini la natura, e neppure per gli dei la luce fu più dimora e segno celeste, così, “essi gettarono su di sé il velo della notte”. Nella notte gli Dei ritornarono, abitatori del sogno, “caddero nel sonno, per riuscire in nuove splendide forme sopra il mondo trasformato”. Per cui nel teatro – e attraverso il teatro – Kostja cerca di avvicinarsi alla divinità, alla parte divina che alberga in ogni essere umano, è un appello al Dio dell’amore che risiede anche nell’anima di Arkadina, con il suo spettacolo Treplev invoca una freccia di Cupido. Ma l’anima del mondo evocata sul palcoscenico rappresenta anche quell’immutabilità ed eternità cui lo stesso nome di Treplev – Konstantin – rimanda. Il suo nome suggerisce la relazione con qualcosa di perpetuo, costante. L’anima del mondo è eterna, il mondo delle apparenze è in costante mutamento, così come nell’uomo l’anima rappresenta l’elemento immortale mentre il corpo contiene i principi del cambiamento.
©Matteo Tarasco