Corteggiamenti [14] di Alessandro Morbidelli

© wolf+lamb, di èStudioLab
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Due fratelli

Quando Valerio rientrò a casa, sentì subito l’odore di quella sigaretta accesa e poi assaggiata per una, al massimo due boccate. Passò una mano sul volto, lasciando cadere a terra la borsa dei documenti.
Era tornato. Suo fratello era tornato.
Prima di percorrere l’ampio disimpegno rivestito di marmo verde Guatemala, su cui la luce al led dei faretti aveva la pretesa di omaggiare il sole che picchia sui flutti del Rio de la Pasion, Valerio ripensò a Cristina, a Giulia, a Moira. Ripensò addirittura a sua madre: tutte donne che suo fratello gli aveva portato via.
«Ti pigliasse un colpo a storcerti…» sibilò tra i denti.
Poi proseguì, come se nulla fosse. Dall’ampio salone riverberava la luce fioca dell’alta lampada in carta shiramine washi su cui erano state stampate le stagioni del ciliegio. Al tempo stesso, nessuna luce proveniva dalla parete su cui era stato ricostruito l’habitat del lago Malawi sotto forma di acquario tropicale: il rumore della pompa suo fratello non l’aveva mai sopportato. Per questo doveva averla spenta. Insieme a questa, le luci al neon.
«Possano strozzarti…» ringhiò con un refolo di sputo a uscirgli dalle labbra.
Infine sbucò nei sessanta metri quadri di salone. Modulò un sorriso e sostenne l’andatura mettendo una mano in tasca.
«Vale!» sentì gridare dalla poltrona libica accanto al tavolo in abete scandinavo. Suo fratello era spaparanzato con una gamba sopra il bracciolo. Maglietta nera slabbrata con scritto There is no God and We are his Prophets (CMcC), jeans sdruciti alle ginocchia e piercing al labbro. Aveva uno smartphone in mano.
Valerio lo fissò allentandosi il nodo della cravatta.
«Te lo sei messo per i tuoi quarant’anni, quel bullone?» gli chiese, indicandosi la bocca.
L’altro sorrise, si alzò e con uno scatto lo abbracciò. Puzzava tremendamente di sudore e di tabacco.
Valerio si liberò dell’abbraccio con una certa freddezza. L’altro tornò a sedersi e a digitare.
«Dov’è Jasmine?»
«L’ho mandata via. Le ho detto che avrei cucinato io per te…»
E infatti sul tavolo era apparecchiato per uno, come si conveniva ai grandi artisti della porcellana. Tutto al posto giusto. Pietanze comprese.
«Però ha apparecchiato lei…»
«No, ho fatto tutto io…»
Valerio si sedette. Avrebbe volentieri fatto una tappa in bagno, ma sentiva l’elettricità di quell’incontro graffiargli la schiena.
«Perché sei tornato?» chiese al fratello.
L’altro sorrise e gli brillarono gli occhi. Era quella l’espressione che più dilaniava Valerio, perché non potevi non volergli bene a uno con quello sguardo lì. Eppure si era impegnato. Odio, solo questo. Anzi, non curanza, che dell’odio è infinitamente peggiore.
L’odore che veniva dalla pentola smaltata era delizioso. Dopotutto, suo fratello era conosciuto per essere un cuoco rock. Guadagnava molto meno di lui, eppure in America era famoso. Scriveva su una rivista, curava una rubrica televisiva. Lo guardavano tutti con ammirazione, come non si guarda certo l’amministratore delegato della Gastan Pharmaceutics.
Valerio si riempì il piatto. Qualcosa nel suo stomaco chiese pietà invocando fretta.
«Stufato Led Zeppelin con verdure, patate dolci e bagno di Lacrima di Morro d’Alba. La carne, poi! È… »
«Ti ho chiesto perché sei tornato. Non mi hai risposto…»
«Mah… così…»
«No, non mi freghi…» e giù di posata.
«Va bene, va bene… time out! Sono tornato perché mi manchi, ti voglio bene e mi pare una gran cazzata il fatto che tu mi odi così tanto… Vorrei rimettere le cose apposto.»
Valerio sputò un osso sul piatto e si mise a ridere.
«Una gran cazzata? Le cose apposto?» disse, «Tu sei un agente contaminante, ecco quello che sei. E non te ne frega niente di me, di quello che provo, di quello che faccio. Hai presente il rispetto, brutta testa di cazzo? Tu arrivi e pigli…»
«Almeno nel caso di Moira, non ho dovuto fare granché…»
«Ma vaffanculo… Ti rendi conto che rovini tutto quello di bello che cerco di costruirmi? Perché hai spento la pompa dell’acquario?»
«Come farai a campare con quello zzz nelle orecchie lo sai solo tu… Possibile che tu non riesca mai a rilassarti, a lasciar pisciare fuori le cose belle che hai dentro? E soprattutto, possibile che non ci sia un solo motivo per cui tu possa volermi ancora bene?»
Valerio fece la scarpetta con il pane.
«Tra tutte le stronzate che hai fatto, tutto il male che mi hai tirato addosso, devo riconoscerti un merito. Mi hai dato un buon consiglio. Prenditi un animale domestico, ti ammorbidirai, hai detto. E così ho fatto. Non te l’aspettavi, eh?»
Ma l’altro non rispose.
«Davvero, l’unica cosa buona che hai fatto. Perché l’amore degli animali non risponde ai piercing o alle magliette da ragazzino o alla fama di rockettaro… Anzi, vado a prenderla. Sissy, una coniglietta nana siamese. L’unica coniglietta che non ti farai, stronzo!»
Valerio si alzò e a grandi falcate attraversò il salone, sbraitando come un ossesso.
L’altro, invece, guardò le ossa nel piatto.
«Valerio Valerio…» disse scuotendo il capo con un sorriso.

© Alessandro Morbidelli

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