3SCENE [4]

YOUTH

“Youth” di Paolo Sorrentino.

Il verde dei prati di montagna è sincero. La cicatrice che mostra è una strada che cammina in piano, a bordare un pendio. Uno sfondo e un primo piano di fili d’erba e di fiori. In mezzo, sospesi, stanno loro, due vecchi, inondati dal sole, galleggianti nell’erba, ognuno con la propria sincerità, ognuno con le proprie cicatrici. Camminano lungo la strada.

«Ti ricordi Gilda?» chiede quello con il cappello.
«Il film?» risponde l’altro.
«No, Gilda Black, quella di cui ci innamorammo tutti e due.»
«Gilda Black…»
«Mmm…»
«Non ci credo, chi ti sei andato a ricordare… Saranno passati cent’anni…»
«Be’, a me sembra ieri. Avrei dato vent’anni della mia vita per andarci a letto.»
«Avresti fatto una bella scemenza…» e arrivano le baite, i monti, il cielo azzurro, «Gilda Black non valeva vent’anni della tua vita, neanche un giorno, valeva.»
«E tu come lo sai? Ci andasti a letto?»
«Cosa? Come dici?»
«Hai capito bene. Sessant’anni fa giurasti che non ci eri andato a letto per rispetto del mio amore per lei. Ora parli diversamente…»
«Guarda, devo farti una confessione…», l’uomo con la busta allargale braccia, abbassa lo sguardo e scuote la testa, «La vera tragedia, e, credimi, è veramente una tragedia, è che io neanche me lo ricordo se sono andato a letto con Gilda Black.»
«Dici sul serio?»
«Te lo giuro.»

Il vecchio è disteso su un lettino. La linea della testa scende da destra verso sinistra. Ha il volto arrossato, ma la pelle è distesa. Sotto il collo, un confine di argille terapeutiche lascia intendere che il suo corpo sia coperto da un trattamento di bellezza. Parla osservando il vuoto.
«Mi devi credere, Viv. Riesco a capirti. Davvero, ti capisco.»

La donna è distesa su un lettino. La linea della testa scende da dinistra verso destra. Ha il volto teso e le vene gonfie sulle tempie. Sotto il collo, un confine di argille terapeutiche lascia intendere che il suo corpo sia coperto da un trattamento di bellezza. Apre di colpo gli occhi.
«Tu riesci a capirmi… Col cazzo che ci riesci. Mamma avrebbe potuto capirmi. Mamma, che con te si è trovata nella condizione in cui sono io non una, ma decine di volte. E ha fatto finta di niente. Sei stato con decine di donne, ma lei tirava avanti. Non solo per noi figli, ma soprattutto per te. Ti amava e quindi ti perdonava. Qualunque cosa accadesse voleva stare con te. Ma chi eri tu? Chi? Me lo sono sempre domandato. Non hai mai dato niente. Niente a lei, niente a me, niente. Hai dato solo alla musica. La musica, la musica, la musica, non c’era altro nella tua vita, solo musica. E aridità. Mai una carezza, un abbraccio, un bacio. Niente…», lacrime scendono ai lati degli occhi bruni, «Non hai mai saputo niente dei tuoi figli, se soffrivamo, se eravamo contenti, niente. Era tutto sulle spalle di mamma. A casa le uniche cose che gli dicevi erano due parole: Silenzio, Melanie. E mamma lì a spiegarci Silenzio, papà sta componendo, Silenzio, papà riposa, ha un concerto stasera, Silenzio, papà parla con una persona importante, Silenzio, papà deve ricevere Stravinsky stasera. Tu volevi essere Stravinsky, ma non avevi un millesimo del suo genio. Silenzio, Melanie. Soltanto questo sapevi dire. Non hai mai saputo niente di mia madre. Non hai mai saputo prendertene cura. E anche adesso sono dieci anni che non le porti un fiore. E quella lettera, pensi che mamma non l’abbia letta, ma ti sbagli. La trovò, la lesse e poi l’ho letta anche io. Tu forse non te la ricordi neanche, ma noi sì. La lettera in cui dichiaravi a un altro uomo il tuo amore. Mamma ha dovuto subire anche quell’umiliazione. Le mie necessarie sperimentazioni in materia sessuale. Così scrivevi. Non ti bastavano le sperimentazioni musicali, no, pure quelle omosessuali dovevi provare, certo. Non te n’è fottuto mai delle sofferenze di quella donna. Quindi ora non dirmi che riesci a capire perché tu non capisci veramente un cazzo.»

Il verde dei prati di montagna è sincero. La cicatrice, la strada che cammina in piano, è coperta dall’erba. Uno sfondo e un primo piano di fili d’erba e di fiori. In mezzo, sospesi, stanno loro, due vecchi, inondati dal sole, galleggianti nell’erba, ognuno con la propria sincerità, ognuno con le proprie cicatrici. Camminano lungo la strada.
«Stamattina ho fatto una pipì lunghissima… e possente… ero così contento… da mesi non mi sentivo così contento» dice quello con il cappello.
«Bene, sono contento per te» risponde l’altro.
«No, stavo scherzando Mick, cioè, la verità… non è andata così…»
«Non scherzare su queste cose, la prostata è una cosa seria…»
«Ci caschi sempre ai miei scherzi, Mick. Tu credi a ogni mia parola da sessant’anni…»
«Io invento storie, Fred. Per poterlo fare devo credere a qualsiasi cosa.»

© Alessandro Morbidelli, 2018

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