21 grammi sulla pelle [2] di Viola E. Miller

Donna nuda davanti allo specchio (1897), di Toulouse Lautrec

Il corpo allo specchio

Si guardò allo specchio, Kristen. I capelli biondi le scendevano lungo i fianchi. I seni appuntiti erano piccoli nei su una pelle slavata. Kristen non sapeva nulla. Immaginava il futuro di donna libera.
La madre la portava ogni giovedì al mercato. Tra le bancarelle tutti la guardavano per via della faccia pulita. Truccarsi era delle prostitute. Portare un abito corto era delle prostitute. Intrattenere discorsi con uomini era delle prostitute.
Kristen impallidiva davanti allo specchio le prime volte.
Le caviglie portavano i segni della segregazione: cavigliera di cuoio e la catena ancorata a una parete le permettevano di muoversi nella stanza. Un letto, uno specchio e un catino componevano il resto.
«Lo faccio per te,» diceva la madre «per il tuo bene».
Kristen non capiva cosa fosse questo bene. Sapeva solo che la madre l’amava più di ogni altra cosa, più della sua stessa vita.
Kristen, era lei e il suo corpo, nudo e indifeso.
Si spacciava in quello spazio per donna matura, come lo era la madre. E pensava a tutti quanti gli uomini che si presentavano presso la loro casa, ma di cui non conosceva il viso. Li sentiva solo quando si accoppiavano con la madre.
Iniziò a scoprire il suo corpo, era l’unico mondo raggiungibile da quel punto nascosto nell’universo. Si sedeva sul pavimento, allargava le gambe e guardava a lungo il suo sesso tenendo le labbra aperte tra l’indice e il medio.
Lo sguardo cercava il riflesso, la vagina le sue dita. La penetravano lentamente. Quando i gemiti della madre si facevano più forti, divenendo urla, Kristen velocizzava il movimento affondando le dita. L’altra mano finiva nella bocca a simulare la penetrazione, le succhiava, le ripuliva. Cambiava mano. Sempre più forte.
Gli uomini duravano  poco, ma per lei era un tempo infinito, veniva con loro.
Se venivano troppo presto, lei continuava sino allo sfinimento.
La prima volta provò dolore, era fisico, ma il piacere fu una scoperta più che soddisfacente. Le dita le si sporcarono di sangue. Quel corpo esile divenne il tempio dove rifugiarsi.
Quando le forze venivano meno, restava immobile.
Pensava alla madre, a un corpo senza vita e anaffettivo. Un corpo da proteggere.
Lei era l’unica salvezza a tutto: a quella triste storia. Era l’anello di giunzione delle vite che prendevano parte a quel pasto nudo. Immaginava il corpo straziato della madre con la testa riposta da una parte e gli arti disseminati disordinatamente sul letto.
Lei metteva ordine alle cose, al corpo, alle membra.
L’anima era nello specchio, rinchiuso dal riflesso di Kristen.
Kristen così si sentiva viva nell’universo. Nessuno sapeva di lei o poteva immaginare. Ma lei sognava, osava tutto ciò era in suo potere o a stretto contatto.
Durante un’uscita al mercato incrociò lo sguardo di un giovane. Doveva già aver compreso l’uso del corpo nei rapporti amorosi e le simulò una fellatio.
Lei subito immaginò la bocca che succhiava il suo pene. La lingua che si muoveva velocemente. Lo immaginò liscio come il marmo, com’era nei suoi pensieri. Non ne aveva mai visto uno e chissà se mai un giorno avrebbe giaciuto in un letto con un uomo normale senza immagini riflesse e contorte.

© Viola E. Miller, 2015

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