21 grammi sulla pelle [10] di Viola E. Miller

tre

RINASCITA

La notte le scese sulla faccia. I riflessi opachi della luce, dai vetri si spostavano al passaggio delle auto. Le creavano delle righe parallele che ondeggiavano da un orecchio all’altro. I capelli legati. Tirati dietro troppo stretti. Per tirare, e tirare il facciale, per toglierle l’odio, per cancellarle le rughe scavate dal pianto. Quel pezzo di merda se l’era scopata, l’altra, l’amica.
Ora anche ex collega, lavoravano assieme.
Sara chiese di essere spostata d’ufficio. Fu  impossibile, la risposta del dirigente era stata chiara, un secco no, grande come una casa. La sua, che fino ad allora aveva diviso col marito, 110 mq su due livelli, più box auto, rimasto vuoto. Solo gli scatoloni che ancora doveva portar via. Poi più nulla, neppure il passato, i ricordi, svaniti nel buio. Sara aveva bisogno di altro amore, non quello che aveva frantumato la sua cristallina esistenza, o di quel futuro da velo bianco che credeva senza tempo. “Uniti per sempre, finché morte non vi separi”, come disse il prete sull’altare. Parole di una santità inutile o tutta sua, di quello sulla croce.
Decise così di allontanarsi dalla periferia, si licenziò, voleva riconquistarsi il centro di una città non troppo conosciuta, le era sempre piaciuta: Siena. Ripartì da lì, dal centro, dall’ombelico del mondo nuovo, come una ragazzina alla ricerca dell’alloggio studentesco. Ne vide tanti e alla fine ne scelse uno, con altre due ragazze, studiavano Psicologia.
Sara si iscrisse a Scienze dell’alimentazione. La sua stanza era piccola, un lettino e un minuscolo armadio. Una finestra, che dava sul passaggio verso l’ingresso della facoltà di Medicina, contrada Bruco. Aveva portato con sé solo i beni primari. Poteva rincominciare da zero, aveva appena ventisei anni.
Le altre due ragazze alloggiavano nell’altra stanza, la mattina seguivano i corsi, il pomeriggio studiavano. Sara aveva notato atteggiamenti inequivocabili tra le due. Non che la cosa le desse fastidio, anzi, la incuriosova. Non aveva mai avuto rapporti con qualcuna del suo stesso sesso. Ma l’idea di potersi inserire in un gioco a tre la eccitava. Una sera in cucina, mentre Anna preparava la cena, Maria da dietro le prese i fianchi e la baciò sul collo. Sara rimase lì davanti a loro. Non andò via, e loro continuarono. La mano di Maria entrò nei pantaloni di Anna, che incrociò le gambe. Sara si fece coraggio e andò dritta a cercare la bocca di Maria. Le tre donne finirono a confondersi tra abbracci, sfioramenti di pelle. L’eccitazione le prese come nessun uomo avrebbe potuto concedere loro. I tre corpi esili si avvinghiarono togliendosi lentamente i vestiti. I baci divennero arditi. Si creò un triangolo perfetto, dove ognuna concedeva amore all’altra. Divennero un solo corpo, nessuna ideazione sacrale, erano puro spirito deregolarizzato dalla materia, dalla carne. Quelle idee restavano fuori da loro.
Sara pian piano si spense in quel piacere, perdendo i sensi abbandonata sul corpo di Anna.
Quel momento difficilmente si sarebbe ripresentato, così, senza ragioni, solo l’istinto di amarsi distante dalla realtà solitamente grigia, dall’odio represso, che sfocia in un dissimulare l’amore nel senso pieno del termine.
La vita di Sara ripartì senza livore. Quella rabbia velenosa e lo sgomento che la presero dopo la separazione, furono presto superati.
In lei pose le radici il seme della lentezza, la lentezza dei corpi avvinghiati che cercano il riconoscimento dell’anima seguendo gli odori, a occhi chiusi, lontani da ogni servilismo.
Il bacio non fu più considerato simbolo del tradimento. Divenne la porta verso la libertà sognata, verso una nuova vita al centro di quella Siena, che la vide passare dalla contrada del Bruco a quella dell’Oca, dove vi si trasferì. Ora viveva da sola, un cane a farle compagnia e un mondo fuori ad aspettarla, che condivideva la sua stessa idea non di martirio, ma di libertà sessuale incondizionata.

© Viola E. Miller

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