Scheherazade [6] di Daniela Scudieri

© ph. Andrea Karasekova

LETTO 34

Finalmente, dopo aver seguito frecce, spinto maniglioni di porte e percorso di volata corridoi sotto le mattonelle al neon incassate nel soffitto, con la custodia nera sulle spalle e il casco appeso al braccio, Pietro trova il reparto e in sala d’attesa si unisce trafelato al gruppo che ha già piazzato i leggii. Occhiatacce. «Scusate». Fruscio di spartiti. Gaia impugna l’oboe e guarda storto Virginia, che si è agghindata come per un concerto di gala. Igor sfila via una corda dal violoncello reggendo quella nuova tra i denti. Laura finisce di darsi il rossetto che nessuno noterà. “Per chi suoniamo?”, si chiedono con gli occhi. Ci sono solo infermiere che passano ciabattando con gli zoccoli di gomma, pochi parenti dallo sguardo tetro seduti in corridoio. Terminale: ai ragazzi la parola evoca al massimo un aeroporto o un computer e l’occhiata alle porte delle stanze di degenza è una toccata e fuga verso la serata che li aspetta là fuori, da raggiungere accelerando in moto col vento in faccia.

« Qui a neurologia hanno tutti altro per la testa», dice Pietro con la bocca piena di biscotti e le corde sotto le dita. Risatina collettiva. Gaia alza gli occhi al cielo. Isoardi ci tiene al progetto, musica in corsia o come si chiama, e se non si impegnano addio crediti. Le note dell’accordatura si diffondono punteggiate da cigolii di porte, il ronzio della macchina del caffè in azione, il tonfo delle bottigliette d’acqua sganciate dal distributore come bombe. Povero Bach, sarà dura. Concentrati si guardano, trattengono il respiro. “Pronti? Via!”

Tac, tac, tac.

L’orologio sul comodino, la goccia che scende nell’ago, cadenzata; che lievita in una bolla leggera, leggera: musica? Uno scroscio di note. Correva sotto la pioggia con i sandali nuovi in mano, quella sera all’uscita dall’opera – pioggia. Acqua, acqua. Labbra assetate si muovono senza suono. Musica: non l’ha mai capita granché. E neppure ha mai – voci girano sotto la puntina, ridono, si inseguono strillando. Suo figlio? Ma non ha avuto figli. E questa faccia china su di lei non è sua madre. Anche lei era ancora giovane quando –  Tic, tac, le lancette avanzano, la musica pesa sul petto, genera ombre che si inseguono sdoppiandosi  e tutto è nauseante, tutto, la luce bianca, la bottiglietta d’acqua e la mela posate sul tavolino, l’armadietto con dentro i vestiti che non metterà mai più. Quell’abito che le lasciava scoperta una spalla – strano rivedere i giorni abitati da una lei allegra e sana, neppure troppo tempo fa. Camminava, parlava e rideva. Ma perché, perché l’orchestra suona? Colonna sonora, o una festa – Oh, basta. Finito.

Le facce chine su di lei si moltiplicano. Colori e suoni si smorzano, subacquei. La musica si assottiglia in un sibilo all’unisono con la fatica spremuta dal petto, su e giù, in un corpo a corpo con la calma pompata nella vena, che fatica, si spegne in sonnolenza, dormiveglia, sonno.

© Daniela Scudieri, 2018
Daniela Scudieri è una Delle autrici dell’antologia Di Marie e tempeste, collana Sdiario, Edizioni del Gattaccio. In uscita a settembre.

Copertina di Raffaele Rutigliano

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