Le lettere che non ho mai scritto [9] di Barbara Garlaschelli

©Ph. Giampaolo Poli. Mare del Salento

AL MARE

Come si comincia una lettera indirizzata al mare? Non con “Ciao mare” direi perché fa troppo Raul Casadei.
Salve mare? Odio chi saluta con “salve”; è sempre un tipo di saluto scarico di emozioni.
Allora comincio con una dichiarazione d’amore: “Non c’è niente al mondo che mi faccia sentire come mi fai sentire tu. Libera. In pace. Senza tempo.”

Ho perso la mia vecchia, breve vita dentro di te.  Per una fatalità. Nonostante sia una brava nuotatrice e conoscessi bene il posto un sasso era sulla mia traiettoria. E i sassi, si sa, non perdonano.
Non ho mai smesso di amarti, nemmeno per un istante, nemmeno quando sentivo con inesorabile lucidità che la vita se ne stava andando. Non ho avuto paura, per questo non sono morta. Non ho mai avuto paura di te. Rispetto, quello sì. Non ho mai pensato di conoscerti bene. Per questo continuo ad amarti. Forse dovrebbe accadere anche con le persone: che non smettano mai di considerare l’altro un interessante e misterioso sconosciuto.
Tu non mi annoi mai. Sei sempre te stesso e mai uguale. Sempre lì eppure sempre in movimento. Sei un carceriere capace di lasciar andare. Sei la libertà capace di imprigionare. Sei una contraddizione continua, disomogenea.
Inafferrabile. Sei tutto ciò che vorrei essere.
Solo davanti a te trovo pace. Il corso impazzito dei miei pensieri perde la direzione e si concede l’obliquitá, quella condizione rara e preziosa che i folli e i poeti si possono permettere: essere tutto e niente; essere ovunque e da nessuna parte restando nient’altro che sé stessi. Senza bisogni, paure, speranze, rimpianti, nostalgia.
Essere i frantumi di ciò che siamo senza provarne vergogna.

Davanti a te non ho bisogno di giudicare o di essere giudicata. Le parole  perdono di significato.
A cosa servono le parole quando non c’è nessuno per cui sono importanti?
Conta il silenzio, forse. Ma solo per ascoltarti meglio. E ascoltarsi meglio quando non se ne può fare a meno.

© Barbara Garlaschelli, 2018

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