La forma della stanza [13] di Stefania Morgante

© I fiori di Yayoi, di Stefania Morgante

I fiori di Yayoi

Sono nata a Matsumoto in Giappone.
La mia, era una famiglia dell’alta società.
Per decenni ha fornito tutto il Paese di zinnie, dalie, violette e altri  fiori della nostra tradizione. Una delle nostre serre era talmente preziosa, da essere visitata ogni anno dalle scolaresche.
I nostri terreni erano una distesa immensa di fiori. Col mio album, andavo per quei campi e mi sedevo in mezzo alle distese di violette a disegnare.
E un giorno scoprii che non solo gli umani parlavano, ma anche i fiori.
Le violette parlavano. Ognuna con una sua propria identità e fisionomia. Un parlare veloce, tanto che si accavallavano una su sull’altra facendomi portare le mani sulle orecchie.
Attorno a loro vidi come un’aura luminosa che mi spaventò  tanto che corsi a casa senza voltarmi.
A ogni passeggiata successiva, scoprivo paesaggi abbaglianti che volevano comunicarmi qualcosa, animali che mi fissavano, fiori che mi invitavano parlandomi concitatamente.
Gli occhi mi si riempivano di immagini. Ero sempre più impaurita, non riuscivo più a distinguere la realtà dal sogno.
Ero prostrata.
Nonostante tutto, disegnavo. Ogni giorno veniva tutto a galla, sgorgava come da un fiume sotterraneo. Le immagini una dietro l’altra, a velocità sempre più impetuosa.
I miei occhi, le mie orecchie, il mio cuore: mi parevano pareti entro cui ero prigioniera.
In quelle pareti, quasi marchiato a fuoco, c’era tutto ciò che avevo imparato, tutti i disegni che avevo tracciato.
L’universo, i fiori, il sangue, la carne, la vita, l’uomo. Cose che conoscevo ma che nascondevano sempre lati misteriosi e sconosciuti.
C’ era sempre stato qualche aspetto sinistro che affiorava e penetrava il mio spirito, perseguitandomi fino al tormento.
Ho spesso rasentato la follia. L’unico modo per quietarmi era ricreare sulla carta con matita e colori.
Mi tuffavo in questo mare oscuro e sinistro, il sangue scottava e vibrava la paura e la rabbia crescevano.
La pittura, forse la mia ultima possibilità. Forse il mio unico modo di stare al mondo.
Nei sessant’anni successivi, non è cambiato molto, anzi non è cambiato niente.
Continuano le dalie, le zinnie, le violette, a parlarmi incessantemente e io continuo a cercare di quietarmi e continuo a domare quei lati sinistri che affiorano dalle loro parole.
Sono nata, ho vissuto e continuo a vivere.
(Liberamente tratto dai ricordi di infanzia di Yayoi Kusama)
© Stefania Morgante

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