Il passo del bradipo (ovvero le avventure di Brady) [11]

Fargo Brady – I

Questa è una brady-narrazione a puntate, ispirata molto liberamente alla mia recente trasfertina americana. Che è stata bellissima e infestata di belle persone. Però ricordatevi che per quanto io somigli a Brady, Brady non sono. E i personaggi che compaiono in questo racconto sono anche un po’ diversi da quelli reali. Però l’intera occasione era troppo ghiotta per non trarne una storia.

Brady ama il cinema dei fratelli Coen. In particolare, potrebbe citare a memoria tutte le parti di Frances McDormand, e qualora ci fosse bisogno di una controfigura per il sequel, in emergenza Brady potrebbe offrire il suo contributo, esibendo il profilo perfetto della donna incinta senza essere incinta. Brady ama tutto il cinema americano in generale, e pertanto ama l’America nella sua versione da “Land of opportunities”. Qualunque stato le è familiare attraverso la sua rappresentazione cinematografica, e si sentirebbe a casa sua in North Dakota come in California. Ne è certa. O quanto meno ne era certa prima di imbarcarsi in questo viaggio.

Uno dovrebbe tener presente che, quando si guardano i film, non si è davvero dentro i film. Il freddo e il caldo sono nozioni ricostruite dall’immaginazione individuale e pertanto adattate al livello di sopportazione di chi immagina. Ecco. Questo pensa Brady mentre, trascinando il suo trolley fino all’uscita del piccolo aeroporto in Nebraska, scavalca turisti vestiti da inhuit e abbattuti dalle temperature rigide e nativi in camicine lumberjack, in tutta evidenza dotati del metabolismo di un pinguino.

Le porte scorrevoli dell’aeroporto non scorrono. O almeno non sembra che scorrano. Non sembra, finché un nativo col cappello da Davy Crocket codino da castoro compreso assesta un colpo dove sa. Il meccanismo si sblocca e Davy Mandingo Crocket sorride copiosamente a Brady, che per un attimo teme di aver trovato l’amore della sua vita.
Lo teme solo per qualche secondo, finché cioè le porte non scorrono, spalancandosi su un panorama paralizzante. Allora è costretta a concentrarsi su qualcosa di più urgente: la sopravvivenza in un freezer.
Manca solo il nano da giardino.
Manca solo quello, con l’ascia in mano, a designare i confini del paese, e lo scenario di Fargo sarebbe perfetto.
Davy torna a importunarla. «Wanna have a drive, sweetie?»
Brady si scuote lievemente, mette a fuoco Davy Mandingo, e cerca di capire dove le è riuscito di pescare lo stalker boscaiolo, a lei che non è in grado di far innamorare neanche una patella. Sicuramente è uno stalker maniaco abbordatore seriale.
Perché da noi, pensa Brady, se uno è gentile è per forza uno stalker.
Impiegherà qualche giorno, Brady, a capire, che in questo posto surgelato, come forse nel resto dell’America di provincia, la gente sorride gratis, e saluta altrettanto gratis, e Davy Mandingo Crocket vuole autenticamente aiutarla. Anche perché di mestiere fa il tassista. E tanto vale approfittare.
Brady raddrizza le spalle e sente le ossa scricchiolare. Mandingo sorride di nuovo, sfodenrando un bagliore di denti bianchi del tutto accecante, e agguanta la valigia piombata di Brady sollevandola come un fuscello. Trotterellando – il che parrebbe incredibile per la sua stazza – si avvia verso il taxi: un meraviglioso, cinematografico pickup nel quale per un attimo Brady teme di dover salire sul retro. Invece, con insuperata galanteria, Davy le spalanca lo sportello, e la aiuta ad accomodarsi. Brady non vuol sapere che fine ha fatto la valigia. Soprattutto non vuole porsi il problema di quante volte rotolerà su se stessa nel rimorchio del pickup, affiancata ai numerosi cadaveri con i quali di certo questo serial killer ha tentato di fermarla.
Appena fuori dall’aeroporto, è tundra.
A meno 15°, la temperatura corrispondente ai numerini Farenheit che Brady legge sul cruscotto, non può sopravvivere neanche Babbo Natale. Non c’è vita neanche natalizia, o almeno questo è quello che pensa Brady, mentre il tassista Davy Crocket – dopo aver agguantato l’indirizzo che deve raggiungere – ha acceso la radio. Quest’ultima, gracchiando appena, trasmette musica bluegrass che all’istante catapulta Brady sul set di Un tranquillo weekend di paura.
Nella mezz’ora di viaggio dall’aeroporto alla villetta dei suoi ospiti, Brady riesce a immaginarsi morta in esattamente 1380 modi diversi. Questo non agevola la sua capacità di conversazione con Davy Mandingo. Quando il Pickup col segnale del taxi sopra emerge dal boschetto gelato in cui Brady temeva di trovare l’ennesima morte e si infila su uno dei ponti metallici che gli States sembrano ostinatamente collezionare, Brady si rincuora. Forse arriverà viva.
E arriva, in effetti.
Il viaggio è durato tre quarti d’ora. Il prezzo è ridicolmente basso, e la valigia non ha macchie di sangue.
Quando il tassista le stringe la mano abbandonandola nel vialetto non spalato del professore che dovrà ospitarla, Brady si congratula con se stessa per essere sopravvissuta. Sente le articolazioni croccanti, e teme che si spezzeranno al primo insulto della sorte, e tuttavia resiste e persevera. Abbandonando la valigia nel mucchio di neve che forse, a primavera, sarà qualcosa di simile a un cespuglio, si avvicina alla porta e suona, preparandosi all’accoglienza del compassato professore che ha conosciuto in giro per il mondo, sempre in situazioni formali. Confusamente, si augura che venga ad aprire la moglie. E’ sempre più facile mentire con una donna.
Invece no.
Una sagoma bianca prende forma dietro la porta a vetri, esita, e infine apre la porta.
The Big Lebovski.
In accapatoio che un tempo è stato bianco, gioviale come nessuno mai, il grande Lebovski in versione accademica emerge dalla porta, la saluta affettuosamente, poi si guarda intorno e dice: «Be’, non è poi così freddo. Lo vuoi un bourbon?»
Ecco cosa ci voleva: un bourbon.
Wanna drink?

(continua…)

© Nicoletta Vallorani

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